«“Relatività” di Escher trae ispirazione dalla nostra Amalfi, vi dico perché» - Le Cronache
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«“Relatività” di Escher trae ispirazione dalla nostra Amalfi, vi dico perché»

«“Relatività” di Escher trae ispirazione dalla nostra Amalfi, vi dico perché»

“Non arrenderti: rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo”. Queste parole, della scrittrice belga e baronessa Fabienne Claire Nothomb, conosciuta con lo pseudonimo di Amélie Nothomb, si abbinano non tanto alla scoperta, quanto alla tenacia di alcuni giovani artisti italiani che provano a tenere viva la passione artistica e culturale del territorio, facendone scoprire volti sempre nuovi. E di volti, o per meglio dire di scale, in questo caso ce ne sono tante: parliamo della celebre “Relatività” di Maurits Cornelis Escher. L’opera, prodotta nel 1953 e attualmente conservata presso la National Gallery di Washington, è sempre risultata emblematica: viene definita dai critici d’arte “surreale”, poiché “raffigura un grande ambiente interno nel quale si coglie una struttura architettonica complessa”. Ciò accade perché le raffigurazioni umane “che percorrono le scale nei due sensi indicano la presenza di diversi orientamenti gravitazionali, se interpretiamo l’immagine con la nostra esperienza spaziale”. Un muro, quindi, può diventare parete o pavimento o soffitto in base alla nostra relativa percezione. Eppure, quest’opera potrebbe essere tutt’altro che surreale, come dimostrano le immagini commentate, su queste colonne, dall’archeologo ravellese Alessio Amato.
Altro che surreale: la “relatività” esisterebbe davvero.
«Marco Scognamiglio ha individuato queste scale ad Amalfi, che sono state costruite e ricostruite negli anni Ottanta. Siamo partiti da qui per valutare tutta la struttura, che comunque è molto precedente, visto che è nel centro di Amalfi. Troviamo strutture molto simili in Costiera ma, da analisi architettoniche, sembrerebbe che ci fossero degli accessi precedenti all’interno della struttura, molto simili alla scala che compare in foto, che è stata costruita negli anni Ottanta».
Il contributo di un archeologo è dunque fondamentale.
«Il mio ruolo, in questo progetto, riguarda l’analisi del territorio circostante per valutare se ci fossero architetture che si avvicinassero maggiormente a “Relatività”. Il progetto è molto più ampio: la questione di Escher è internazionale. Partiamo da una ricostruzione, quindi non è per niente facile: ancora oggi nessuno è arrivato a capire dove si sia ispirato l’artista in modo ufficiale».
Di cosa si sta occupando, in questo studio?
«Sto curando personalmente Escher e altri personaggi, da Wagner a Beckett. Il nostro obiettivo, sin dall’inizio, è dare vita al dibattito tra cultori di Escher, appassionati e non solo. Le notizie circolano tra appassionati, quindi è bello confrontarsi e mettere insieme i vari tasselli. Vale per Escher così come per tutto il nostro studio, che ha bisogno di più anni di ricerche sicuramente».
Ci avete messo due anni, anche più, per ottenere questi primi risultati.
«Lui (Scognamiglio, ndr) individuò questa segnalazione durante il primo lockdown causa Covid. Eravamo indecisi, dovendo partire da una copia, ma dallo studio delle quote e da altre valutazioni si è dato il via a questo progetto anche escheriano».
Lei si occupa di turismo, non solo di archeologia.
«Sì, sono guida turistica. Anche con le altre guide turistiche di cui sono collega, cerchiamo di avere un occhio più vigile per valutare ciò che più si avvicini ad Escher. Ma questo artista ha lasciato molto qui: basti pensare a “La metamorfosi” o al Santuario dei Santi Cosma e Damiano».
Cosa vi ha convinto, in questa ricerca?
«Siamo partiti da una considerazione: è vero che stiamo valutando scale degli anni Ottanta, ma è un’architettura che si presta maggiormente alla Costiera amalfitana. Il nostro dovere è andare alla ricerca di queste strutture che più si avvicinano a quell’opera. E finalmente abbiamo avuto l’ok per partire, dopo diversi studi».
Eppure sono scale degli anni Ottanta, ed Escher ha prodotto l’opera nel ’53. Ma soprattutto è morto nel ’72.
«Tecnicamente, c’era bisogno di scale interne o esterne che potessero portare fino in alto. Quindi ci siamo rispetto alla struttura originale. Noi ci concentriamo sempre sulla Costiera. Il fatto di Relatività, per anni è stato pure affiancato alle “sedici tavole” del Piranesi. Si è provato ad accostare il tutto anche ad opere non costiere, ma Escher ha conosciuto la moglie in albergo a Ravello, si è sposato qui, tornando a Ravello appena possibile e lasciando tantissime opere qui. Molte di queste sono andate perdute: parliamo di oltre dieci tra Ravello, Atrani e il resto della Costiera amalfitana. A questo si lega il discorso dell’architettura, delle scale, della verticalità. Ad Amalfi questo lo vediamo tantissimo, ma funzionava così: atri con aggiunte di scale interne ed esterne che davano proprio questo effetto geometrico. Quello che fa Escher è analizzare ed esternizzare la matematica nell’arte, è uno dei pochissimi artisti a farlo».
Le scale di Escher possono essere trampolini di lancio per nuove generazioni di ricercatori.
«Il nostro sogno è dare alle nuove generazioni questa voglia e questi spunti: da sola, questa ricerca su Escher potrebbe addirittura lasciare il tempo che trova, ma vogliamo che sia un trampolino di lancio per molti ragazzi che magari hanno qualità da ricercatori. Purtroppo, un po’ per indirizzo istituzionale e un po’ per il contesto sociale, non trovano spazio: quindi si riversano nel mondo alberghiero a svolgere le mansioni più disparate. La cultura, ancora oggi, non paga».
Ne riparleremo.