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Rapporto Censis, le democrazie liberali non funzionano più

Rapporto Censis, le democrazie  liberali non funzionano più

di Giuseppe Gargani

Il rapporto Censis presentato qualche giorno fa, offre un quadro allarmante perché rivela che il 68,5 degli italiani ritiene che le democrazie liberali non funzionano più. La stampa ha messo in risalto la scarsissima cultura dei cittadini che non conoscono Mazzini e non questo disamore per la democrazia che è causa dell’astensione dal voto da parte degli elettori. Gli Stati occidentali registrano uno scontro senza precedenti con le autocrazie dell’oriente e dovrebbero esaltare la nostra consolidata democrazia ma le riserve sul “sistema democratico” sono sempre più accentuate e non solo in Italia. Facciamo un passo indietro e cerchiamo le ragioni. L’occidente non è solo una indicazione geografica ma è una storia ed è la storia di una lenta conquista, attraverso – rivoluzioni e rivolgimenti istituzionali, della libertà e del rispetto di tutti che configurano la democrazia. È venuto meno il pluralismo che è caratteristica peculiare delle democrazie, e le democrazie sono “vasi comunicanti”, ha scritto Angelo Panebianco ,e quindi la crisi di una influenza le altre. Tutti risentono della “democrazia debole” dell’America e la pressione negativa della dittatura della Russia influenza paesi dell’area europea in particolare dell’Ungheria. Queste incertezze determinano, come è stato detto, la “polarizzazione delle democrazie” – e l’allontanamento dal “centro” che privilegia le estreme come in Germania e in Francia dove la crisi del movimento di Macron rende ingestibile il Parlamento. Ma la cultura a supporto della politica non può non avere contenuti di centro, di destra e di sinistra anche se allo stato sono appannati e incerti. Le vicende storiche degli ultimi secoli confermano questo e naturalmente la raccolta del consenso elettorale è funzionale al riconoscimento da parte dell’elettore della “identità” del partito, dell’identità delle liste elettorali. Per un corretto rapporto con gli elettori è necessario che il partito abbia la propria “identità” per rappresentare adeguatamente il Paese. L’attuale sistema elettorale ha distrutto le identità e quindi i partiti, e ha appannato la “rappresentanza” che era incaricata di trovare in Parlamento una intesa, un compromesso (non un inciucio) per un governo parlamentare nell’interesse della comunità come è avvenuto fino agli anni 90; perché – secondo la Costituzione gli elettori votano per il Parlamento non per il Governo! Questa premessa è utile per valutare le tante polemiche a seguito della presa di posizione di Ernesto Ruffini che ha risvegliato la discussione sul “centro” come espressione politica densa di contenuto e come necessaria indicazione per una precisa identità. Sono anni che nelle cronache e nelle narrazioni si parla di centro-sinistra e di centro destra che hanno caratterizzato la storia politica del nostro Paese ma che oggi non hanno consistenza. Nel 2022 ha vinto una destra ben caratterizzata e il centro di Forza Italia è in netta minoranza anche se attiva e battagliera, il P.D. con la Schlein ha definitivamente assunto le caratteristiche di un partito che vuol essere di sinistra e il “centro”, nonostante le velleità dei post democristiani con la vecchia “margherita”, è sparito da tempo Quindi le espressioni centro-destra e centro-sinistra sono fasulle perché manca il “centro” e si immagina che la destra e la sinistra possano competere per un bipolarismo soltanto velleitario. È davvero strano che tanti politologi e commentatori non si rendano contro che nel nostro paese il bipolarismo non esiste e pur avendo il Parlamento inventato sistemi elettorali stravaganti non funziona perché le coalizioni sono solo elettorali e incapaci di governare per il “bene comune” che non è più contenuto nel programma di governo. L’esempio eclatante è legato alle riforme in discussione che sono appannaggio dei “tre movimenti” (partiti) diversi: l’autonomia differenziata è della Lega, il premierato di fratelli d’Italia, la divisione delle carriere dei magistrati è di F.I., ma con riserve forti da parte degli altri. In verità il bipolarismo è in crisi anche nei paesi come l’Inghilterra e in qualche modo in Francia e le difficoltà di questi Paesi dimostrano come è la politica e la mediazione a supporto delle istituzioni e non il contrario. Ma in Italia la complessa tradizione culturale e anche politica, la complessità sociale impediscono che vi possano essere due blocchi omogenei che si contendono la politica. La nostra tradizione che poi è comune a tutti i sistemi politici è quella di un centro che sin dall’Unità d’Italia (basta leggere Francesco De Sanctis) e con più vigore dal 1948 in poi ha caratterizzato la dinamica politica con una destra e una sinistra anche esse caratterizzate per la loro identità. La patologia dell’attuale sistema deriva dalla illusione che fu di Berlusconi di semplificare la situazione politica italiana ma anche lui dovette constatare che le cose complesse non si risolvono a tavolino. Per questi pregiudizi l’intervista di Ruffini è stata strumentalizzata e non capita perché alla fine, dobbiamo riconoscere, da parte di tanti si teme una “visione” di centro che è cultura di governo, e nessun giornale ha riportato le sue acute osservazioni proprie di chi è figlio d’arte e ha la cultura delle istituzioni. “Il senso più profondo dello Stato è essere al di sopra delle parti servire il “bene comune” …”sono i cittadini consapevoli che rendono forte la democrazia, la politica non è un gioco di potere, dovrebbe essere un percorso fatto di discussioni, grandi ideali, progetti, coinvolgimento”. Queste affermazioni, contengono un riferimento valoriale che non serve per “federare” la sinistra ma per ottenere una intesa naturale tra chi ha come riferimento gli stessi valori, perché, aggiunge Ruffini, “per cambiare le cose non bastano i singoli, ma più persone che collaborano per un progetto comune, “non vi sono salvatori della patria” e quindi va superato il personalismo per una collegialità democratica”. L’esempio di Ruffini può essere un richiamo, un messaggio culturale per mettere insieme i tanti spezzoni di cattolici, di laici e di riformisti, che si definiscono di “centro” e quindi hanno un riferimento valoriale comune. È dagli anni 90 che aspettiamo questo miracolo per superare le attuali patologie che tutti riconosciamo!

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