di Andrea Pellegrino
Quarantaquattro milioni e 800mila euro di danni. La ditta Rainone, costruttrice del Crescent, ha messo tutto nero su bianco. Anzi, oltre alla prima diffida inviata al Comune di Salerno, per attivare la procedura, questa volta si è rivolta direttamente al Consiglio di Stato per chiedere chiarimenti in merito all’iter da seguire per sbloccare il cantiere sequestrato, produrre le nuove autorizzazioni paesaggistiche (annullate proprio da Palazzo Spada) e far riprendere i lavori. Ma al di là dell’iter, Rainone nel suo ricorso ha sbandierato quel che ormai era prevedibile e previsto dal contratto: ossia la ben nota «clausola di garanzia», da tempo contestata da Italia Nostra e No Crescent. Nell’atto approdato a Palazzo Spada si legge infatti: «I titoli di trasferimento proprio in virtù di plurimi giudizi pendenti, davanti al giudice amministrativo, hanno recato una specifica clausola di garanzia, secondo cui, in caso di esito negativo, anche di uno solo dei giudizi, il Comune di Salerno si è obbligato a restituire non solo il corrispettivo e gli oneri versati (28 milioni di euro), ma anche il valore delle opere, fino a quel momento realizzate che, come emerge da una apposita relazione tecnica giurata, finora ammontano a oltre 16 milioni». Ma non è tutto. Nell’atto emergono ulteriori particolari legati alla già complessa procedura. Infatti c’è una nota datata 31 gennaio a firma del capo di gabinetto del ministero dei Beni Culturali che chiarirebbe che la competenza ora è tutta nelle mani della Soprintendenza e non, quindi, del Comune. In pratica l’ufficio guidato da Miccio dovrebbe avviare tutto l’iter, contrariamente a quanto fatto nei giorni scorsi dalla commissione locale per il paesaggio di Palazzo di Città che ha già prodotto i suoi atti, naturalmente favorevoli al prosieguo della realizzazione della mezza luna di Bofill. Inoltre, sempre secondo l’attenta ricostruzione degli avvocati della Crescent Srl (quindi Rainone), il soprintendente Miccio aveva inoltrato il parere del Ministero al Comune l’11 febbraio scorso. Stando ai fatti e alla strada tracciata dal Ministero la commissione per il paesaggio si sarebbe espressa inutilmente, accentuando così l’inghippo burocratico. Miccio, stavolta, davvero è tra l’incudine e il martello.