di Vito Pinto
Era l’otto marzo del 2006, giorno del trentennale della tragica morte di Alfonso Gatto, e il pittore originario di Acerno Salvatore De Nicola regalò alla città di Salerno nove sue opere dedicate al poeta salernitano: atto unico, di grande rilievo culturale e storico, che ancora testimonia, nell’oblio cittadino, il ricordo di quello che fu definito da Massimo Panebianco “il viandante del secolo”. E la poesia si fece pittura, quell’arte nella quale Gatto amava rintanarsi nelle pause di riflessione dalla scrittura, acquerelli che avevano tutta la freschezza e la semplicità di un tocco leggero, ma non effimero, portando con sé la traccia visibile d’un pudore dell’animo: e furono le “Rime di viaggio per la terra dipinta”.Scriveva Gatto in un’autopresentazione della sua mostra di quadri alla Galleria “Il Catalogo”: «Che rapporto ha la mia “pittura” con la mia poesia? – aggiungendo che la parola, il segno, il colore sono – qualificati sino a far propria la trepidante emozione del pittore e del poeta, nel suo essere e nel suo “vedere”». Così “il percorso dialogante tra il poeta e il pittore, – scrisse Cristina Tafuri – sembra farsi assai intenso e presenta stringenti contatti che vanno al di là del lato meramente interpretativo per costituirsi in una sorta di sonata a quattro mani”. Ma fu anche la pittura a farsi poesia, perché, sapientemente, nei suoi segni a memoria di poeta, De Nicola inserì il volto struggente, pensoso di Gatto, ma anche versi e simboli di quell’andare in rima del poeta di Via delle Galesse. Annotava Cristina Tafuri: «De Nicola ha accompagnato ogni disegno con ritratti di Alfonso Gatto, che in diverse pose, in vari momenti, sottolineano, come i versi che accompagnano ogni lavoro, la sua corporeità nella parola che diventa racconto e incanta le sirene adagiate in fondo al mare». Iniziò, così, una storia di pura cultura che i salernitani hanno però dimenticato in quella solitaria sala della poco conosciuta Biblioteca Comunale di Via De’ Renzi, ove furono collocati i dipinti nel giorno della donazione. Ritmava il poeta: «Il treno vuol bene alla pioggia / se piove si lustra e sfoggia / il suo fischio d’aiuto… / E il macchinista che fa? / S’affaccia, s’affaccia / e il cielo gli azzurra la faccia / il vento gli canta l’amore / nel grande fragore / del treno che va». Disegna il pittore una sbuffante locomotiva, uno sguardo puntato all’infinito e frecce verso l’alto, cifra di un andare grafico, simboli di armoniosa ascesa. Scorrono le immagini dipinte su carta d’Amalfi, una dietro l’altra, a riempire le bianche pareti, quasi documenti a esaltare un’appartenenza di terre e di mare nostrano. «Grandi uccelli dal mare / si sentono chiamare / vengono d’ogni sponda, / si tuffano / nell’onda della velocità» ed è un volo elegante di gabbiano, che spiega le grandi ali su versi che si fanno mare, azzurro. C’erano i familiari di Gatto alla cerimonia di donazione, gli amici, studiosi, studenti, l’assessore alla cultura Ermanno Guerra e il sindaco Mario De Biase che ringraziò il pittore De Nicola di un dono prezioso non solo come opere pittoriche, ma come omaggio al poeta di Salerno, ad Alfonso Gatto che non perdeva occasione per ritornare nella sua città, “Salerno rima d’eterno”, per trascorrere qualche ora con i suoi amici de “Il Catalogo”: Lelio Schiavone, Antonio Castaldi, Bruno Fontana, Mario Carotenuto e, quando ritornava a Salerno, Aldo Falivena. Quei dipinti apparvero subito come una rosa regalata ad una bella donna, un omaggio splendido, ma solitario, mentre in città come Milano e Roma organizzarono veri e propri simposium sul poeta salernitano. Un articolo a firma di Olga Chieffi su “Cronache”, in quel lontano marzo 2006, titolava “Quei Palazzi salernitano dove non entra la poesia” e in occhiello specificava “Un desolante velo di silenzio e di oblio sembra essere caduto sul trentennale della scomparsa di Alfonso Gatto”. Un oblio che sembra aver avvolto anche la donazione di De Nicola: solo pochi salernitani sanno di questa raccolta esposta nei locali della Biblioteca Comunale: un patrimonio dimenticato. Torna alla mente quanto scrisse Francesco De Core su “Il Mattino” del 3 marzo 2006: “Trent’anni per morire più volte, se la luce della memoria prende ombra, diventa fioca, tenue, un soffio, e pochi a proteggerla. Trent’anni per capire che grande poeta è Gatto, quanto poco si faccia per ricordarlo con dignità, quanto occorra perché un’opera possa sedimentarsi nel cuore delle persone prima ancora che sugli scaffali delle librerie”. “Se solo questa città avesse memoria…” sussurrò Lelio Schiavone in occasione dei 50 anni di vita de “Il Catalogo”, quel cenacolo che aveva fortemente voluto Alfonso Gatto e dove confluirono scrittori, artisti di varia natura, ma soprattutto amici che avevano a cuore la cultura a Salerno. Omaggio ad Alfonso Gatto, ma anche omaggio a tutto campo alla terra salernitana: De Nicola ha dipinto sulla pregiata carta di Amalfi su cui ha fatto scivolare matite colorate, il pennello ad acquerello, il pennino intinto nella china e la tempera sì da “attraversare le stagioni dell’esistenza riportandoci al mondo della fantasia e dell’autenticità”. Amico di una vita, compagno di avventure letterarie con “Campo di Marte”, la rivista fiorentina di Via dei Mille, Vasco Pratolini, alla morte del poeta salernitano, disse: «Nessuno dopo Campana nasce e muore poeta come Gatto». E rimbalza nella memoria quanto Gatto scrisse sul primo numero di “Campo di Marte”, in quel lontano 1° agosto 1938, sotto il titolo “Pubblico per i poeti”: «Al pubblico non è stata data un’immagine dei poeti dopo D’Annunzio: innanzitutto sono stati gli stessi autori a non assumere volto pubblicano e profetico a celarsi anonimamente in una vita discreta e normale, in vera neutralità con la fortuna e con l’esibizione. Anche morti se ne andranno senza scalpore… Ad un certo punto non si sa bene quale dei due sia più forte, se il riserbo dei poeti o l’indifferenza del pubblico». Strani segni semantici scorrono sulla carta bambagina ad impreziosire un disegno, un verso, una frase, a incorniciare una nave, un treno, dei cavalli sbrigliati, pesci, una vela, gabbiani…: “Grandi uccelli del mare si sentono chiamare, vengono d’ogni sponda, si tuffano nell’onda della velocità…” A richiamo di memoria, perché ancora una volta l’oblio non prenda il sopravvento, il poeta salernitano muore l’otto marzo del 1976 in un incidente stradale ad Orbetello, lui che non aveva neanche la patente… e a Salerno gli è stata dedicata una strada dove non ha casa una sola persona: sottolineava Aldo Falivena che non passerà mai per un ufficio postale una sola cartolina che vede nell’indirizzo la via con il nome di Gatto. Strani casi!Così come la “dimenticanza” si è impadronita di quella donazione di preziose opere che un pittore salernitano volle dedicare al poeta della sua città e donare a una Salerno, alla fine, “rima d’inverno”. Sono un andare ritmato i versi di Gatto: «La morte è un vento, un mare? / Terra non è, non è terra non è sepoltura / Il nostro silenzio avrà una voce». Ecco la speranza del poeta che balza d’improvviso oltre ogni limite, ogni ragione, ogni oblio: «Mi piace, alla fine, dirmi e dirvi che vivo ancora, che ogni segno, ogni parola detta, affidata all’amore altrui, mi dà vita».