Trionfa il teatro del Sotterraneo al Centro Sociale di Salerno con lo spietato quadro della nostra società. Applausi per l’ospite Simona Fredella
Di OLGA CHIEFFI
Oggi I maggio, festa del lavoro e dei lavoratori in ricordo di quanto avvenne a Chicago il 1° maggio del 1886, quando fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti, con il quale gli operai rivendicavano migliori e più umane condizioni di lavoro: a metà Ottocento non era raro che i turni arrivassero anche a 16 ore al giorno e i casi di morte sul lavoro erano abbastanza frequenti. E’ bene ricordarlo oggi che si lavora in nero, che si continua a venire sfruttati e sottopagati o si firmano le dimissioni in bianco in caso di una futura maternità. Oggi sono aperti supermercati e centri commerciali, negozi e ristoranti che riescono a guadagnare molto più rispetto ad una tradizionale domenica. Cerchiamo allora, pur non tradendo la gita fuori-porta di rimodulare la festa del lavoro in un’ottica di speranza verso i giovani disoccupati e tutti coloro che, a causa dell’età, sono tagliati fuori da ogni attività sulla dignità di chi vive con un tozzo di pane sbarcando il lunario con lavori saltuari. Un aiuto a ripensare questa giornata può venire oggi viene dalla drammaturgia contemporanea, quella finemente proposta da Vincenzo Albano e dal suo ErreTeatro, che nella stagione Mutaverso, ha ospitato il Teatro Sotterraneo, protagonista di “Be Normal!”, uno spettacolo di Daniele Villa, con Sara Bonaventura e Claudio Cirri. Oggi sognare un futuro positivo richiede una buona dose di ottimismo e di speranza, ingredienti che sono sempre più difficili da trovare in giro. La ricetta per la felicità che ci viene offerta dal mondo attuale sembra fatta di individualismo, di soddisfazione immediata dei desideri, di conquiste professionali, di relazioni “usa e getta”. Il pronome personale più usato negli spot pubblicitari è “io”; quello possessivo è, invece, “mio”. Tutto sembra dirci che non vale la pena studiare, tentare, formarsi seriamente, perché tanto, poi, non si trova lavoro, o si è superati da mediocri e raccomandati. Non vale la pena amare perché tanto poi l’amore finisce. Non conviene avere amici perché gli amici prima o poi ti abbandonano quando non gli servi più. Sposarsi? Neanche a parlarne, visto che dopo un po’ ci si separa, o non si possono avere figli poiché impossibilitati a mantenerli. Proprio col linguaggio comunicativo e semplice delle campagne pubblicitarie, in diverse micro situazioni la platea di “Be Normal!” vive la folle journée di due giovani alla ricerca di un lavoro. Una giornata che inizia però, di notte, guardando la luna e la costellazione dell’ Auriga, termine del quale, però, non conoscono il significato. Il sogno è in noi. Eppure, come scriveva Edgar Allan Poe, è ancora vero che, “Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte.” Poter vedere al di là di quanto è pura conformità alle aspettative del mondo è un potente talismano se usato con attenzione e misura, una tortura se diventa il solo modo di stare nella vita. E’ vero l’El Dorado non esiste al giorno d’oggi. Il problema è appunto questa gerontocrazia diffusa in ogni ambito, non solo politico. Il discorso è da una parte di svecchiamento sì, ma dall’altra di capacità e preparazione. I sogni pare debbano essere sotterrati per sempre perché nella realtà e nel nostro immaginario ci saranno sempre i grandi vecchi, la Regina Elisabetta, Paperon de’ Paperoni, Sophia Loren, Babbo Natale, ma anche Berlusconi e il cittadino comune Mario Rossi, che sembra indistruttibile, finanche dalle palle lanciate dal pubblico. Sembra ridicola la scena in cui la ragazza cerca di imboccare in fretta e furia lo scheletro della madre per poi piazzarla dinanzi al televisore, ma quante famiglie sbarcano il lunario sulla pensione dei genitori invalidi lasciandoli vivere nella propria solitudine e depressione e, ancora, la scena del colloquio di lavoro gestito da un computer che, alla fine, per la “prova pratica” ordina al candidato di uccidere un ostaggio, o esprimersi e tradurre nello slang della camorra, per rifarsi a richieste e test reali, che vanno oltre ogni limite, sino a sentire piangere e disperarsi un neonato, quel bambino che non si è mai potuto far nascere, poiché bisogna stare attenti anche ad ordinare una pizza. Ospite della serata Simona Fredella del Teatro Stabile di Napoli, che dopo aver risposto a domande sul lavoro, sui guadagni, su come possa mantenersi col teatro, quindi rispettando il proprio daimon, è costretta a giocare alla roulette russa e purtroppo, a vincere, eliminando l’attrice avversaria, ottenendo magari più spazio a disposizione. Squillano le sette trombe, simbolo di quella Apocalisse che ogni giorno si è costretti ad affrontare e anche Shakespeare, consiglia ai Sotterraneo di smettere di calcare le tavole del palcoscenico. Allora meglio fare il funerale al proprio daimon con tanto di bara e Sound of silence? Ma il daimon non sparisce, forse perché neanche all’inferno c’è più posto, ed ecco che nell’ eclissi di luna, lo zombie che avrebbe dovuto essere ucciso in un colloquio di lavoro, viene liberato, ritornando a vivere e magari ad inseguire un sogno, come tutti noi.