Di Andrea Orza
“Siamo tutti uguali davanti ad una pizza”, afferma liricamente Gino Sorbillo. Il magnate della pizzeria napoletana nel mondo offre al suo pubblico pizze gratis in forma di protesta per le cifre smisurate pagate al Crazy Pizza, nuovo investimento dell’imprenditore Flavio Briatore. Il locale è stato inaugurato all’inizio dell’anno, aprendo al pubblico nel cuore di Roma, in Via Veneto. Il menù appare piuttosto ingannevole: allude alla tradizione regionale italiana, selezionando con astuzia un prodotto vagamente popolare seppure inaccessibile ai più. La cucina del bel Paese è variegata e il suo patrimonio appartiene a tutti, certo! Ma è giusto incassare 25 euro per una pizza con mozzarella di bufala? Se esistesse un tribunale gastronomico giudicherebbe eticamente corretto spendere 65 euro per una focaccia al Pata Negra? Secondo molti la pizza, icona mondiale dell’eredità culinaria italiana, è diventata la cartina di tornasole della completa perdita di significato della parola cultura. Versatile nel gusto e fotogenica nella sua precisa rotondità, si presta a ogni cambiamento. Dalla maneggevole pizza a portafoglio, espressione primitiva dello street food, alla pizza gourmet, che vede nel panetto le potenzialità della tela d’artista. Ad ogni modo il paradigma originario farina-acqua-lievito di birra sta subendo un pericoloso tracollo verso la pacchianeria glamour tipica del luxury branding. Non ci resta che ascoltare l’autorevole opinione dei pizzaioli salernitani.
Ad aprire il dibattito, Gianni Pepe proprietario e pizzaiolo de “Lo Scoglio” ad Ogliastro Marina.
“Neanche durante la stagione estiva, quando abbiamo una maggiore affluenza dei turisti ci permetteremmo di proporre simili cifre. Capisco che il prezzo della farina sia aumentato ed è comprensibile pagare una pizza con un salume pregiato quanto merita, ma una margherita classica no! Ormai si prova a speculare su tutto. Anche io potrei vendere la mia pizza semplicemente sottolineando che il forno è alimentato da legno d’ulivo di Controne. Forse faremmo bene a prendere consapevolezza della nostra territorialità.La pizza dovrebbe essere una pietanza semplice e riempitiva non un manufatto di gioielleria. Nel mio listino prezzi quella che costa di più, “la Gianni” viene 8 euro mi ci vogliono 9 pizze per guadagnare quanto Crazy Pizza ne riscuote con una Pata Negra. Roma è una capitale, ma non è costosa. Quando vado a trovare le mie figlie trovo che il costo della vita non sia sproporzionato all’offerta dei servizi. Che dire, non ci resta che trasferire l’attività nelle grandi metropoli.”
Nel centro storico di Salerno invece, Gianluca Vitolo, è stato un antesignano della pizza gourmet nella nostra città nel lontano 2013. Proprietario e pizzaiolo di SaleRosa, offre uno spunto di riflessione marcatamente “social”.
“Non bisogna ragionare in termini di giusto o sbagliato, siamo tutti bravi a giudicare. Oltre alla già nota sagacia imprenditoriale, Briatore ha scelto di vendere un prodotto di tendenza. Quindi se c’è qualcuno disposto a pagare queste cifre è anche una logica conseguenza che ci si un menù come quello proposto da Crazy Pizza. Inoltre, il “design” della pizza da lui scelto ricorda molto la pizza salernitana biscottata di un tempo. Ancora oggi, persone avanti con gli anni la chiedono così e io sono disposto ad accontentarle, così come Briatore accontenta i suoi clienti con la sfarzosa Pata Negra. Non c’è nulla di cui scandalizzarsi. L’unico dispiacere è sapere che oggigiorno un locale alla moda venga scambiato per un tempio del gusto. L’immagine di questi tempi conta più di quanto avremmo potuto aspettarci. I social network stanno crescendo una nuova generazione di assaggiatori poco conviviali e prepotentemente occupati a fare selfies a ciò che mangiano.”