Tema. Fra Foscolo e Bergalli. Svolgo.
Di Federico Sanguineti
Nel 1802, sul “Nuovo Giornale dei letterati” di Pisa, Ugo Foscolo dà alla luce, oltre all’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo otto sonetti, intitolando il tutto Poesie. Ma i capolavori (Alla sera, A Zacinto, Alla Musa e In morte del fratello Giovanni) escono l’anno successivo: in essi, di norma, la prima quartina di ogni sonetto è costruita sul modello più arcaico, a suo tempo inventato dal Notaro e in auge appunto presso i siciliani. Solo eccezionalmente il venticinquenne poeta si affida alla forma canonizzata da Dante e da Petrarca, quella con quartine a rime incrociate, da lui ormai avvertita come poco praticabile. Così, su dodici, hanno nelle quartine lo schema ABBA ABBA solo tre sonetti: 1) Così gli interi giorni in luogo incerto; 2) E tu ne’ carmi avrai perenne vita (ispirato da Isabella Roncioni); 3) Che stai? Già il secol l’ultima orma lascia. Di particolare interesse, per la struttura inconsueta (schema: ABBA ABAB CDE CDE), è Alla Musa, caratterizzato fra l’altro da inaudita inarcatura fra prima e seconda quartina: “Pur tu copia versavi alma di canto / Su le mie labbra un tempo, Aonia Diva, / Quando de’ miei fiorenti anni fuggiva / La stagion prima, e dietro erale intanto // Questa, che meco per la via del pianto / Scende di Lete ver la muta riva: / Non udito or t’invoco; ohimè! Soltanto / Una favilla del tuo spirto è viva. // E tu fuggisti in compagnia dell’ore,/ O Dea! tu pur mi lasci alle pensose / Membranze, e del futuro al timor cieco. // Però mi accorgo, e mel ridice amore, / Che mal ponno sfogar rade, operose / Rime il dolor che deve albergar meco”. Una sofferenza inenarrabile, che neppure la poesia può sanare: il dileguarsi col tempo della Musa è tema talmente indicibile da richiedere una struttura metrica adeguata, con brusco passaggio (sottolineato da enjambement) da quartina a rima incrociata a quartina a rima alternata. Lasciando ad altri il compito di studiare a fondo la struttura dei sonetti foscoliani, sia qui sufficiente segnalare un precedente, generosamente suggerito da Filomena Costanzo durante un corso di Filologia italiana (Università degli Studi di Salerno, a. a. 2021-2022). Si tratta di un sonetto di Luisa Bergalli Gozzi, da lei stessa raccolto, alla giovane età di ventitré anni, nel secondo volume dei Componimenti delle più illustri rimatrici di ogni secolo (1726). In questo sonetto, intitolato Nel prender l’Abito Monacale la N. D. Contarina Zorzi, l’autrice usa il seguente schema metrico (ABBA ABAB CDC DCD): “Son miei, diceva Amor, quei lumi e quella / Neve del viso, e quelle chiome, e quanto / Di grazia, e di beltade altero vanto / Trasse un giorno costei dalla sua stella. // E i fregj di quel sangue illustre, ond’ella / sua gloria, e sua virtute alza cotanto, / Son miei, dicea, d’Adria felice, e bella, / L’eccelso Genio all’altro Amore accanto. // Ella in faccia ad entrambi il bel desio / Non piega ai fasti, e sotto umile, e abbietta / Spoglia sua beltà copre, e corre a Dio. // Spezzò sdegnato, Amore, ogni saetta, / E disse l’altro: Anima bella, addio: / Celesti fregj or il tuo sangue aspetta”. È singolare la presenza di Amore non solo al verso 12 del sonetto di Luisa Bergalli ma, sempre al verso 12, anche in quello foscoliano. Proprio come Foscolo, invecchiando, vede fuggire da sé il conforto della poesia, la nobildonna rinuncia, votandosi a Dio, a un duplice amore: per la propria bellezza e per l’elegante vita veneziana. Solo il dialogo fra l’operato delle scrittrici e quello degli scrittori può finalmente garantire, direbbe Luisa Ricaldone, “la conoscenza delle cose come si sono svolte”.