Tema. La prova scritta. Svolgimento
Di Federico Sanguineti
Si può copiare a scuola? Può capitare di peggio, e cioè che un noto accademico, filosofo, giornalista e psicoanalista come Umberto Galimberti nel 2011 finisca nel mirino di un “advisory board” o, più semplicemente, di un comitato incaricato di indagare su una serie di plagi denunciati in un volume, firmato da Francesco Bucci, dal titolo tanto interminabile quanto inequivocabile (con prefazione di Luca Mastrantonio): Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale. Teoria e pratica di «copia e incolla» filosofico. Un clamoroso caso di clonazione libraria. Questione sulla quale a suo tempo ci si è espressi nei modi più disparati. A parere dell’allora rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nonché ordinario di Economia ambientale, Carlo Carraro, come si esaminano gli elaborati studenteschi, così si dovrebbe fare per la produzione scientifica di chi insegna. Ma non è mancato chi si è spinto fino a difendere il presunto contraffattore richiamandosi alla affermazione, forse di Picasso (poi ripresa da Stravinskij) o forse di Stravinskij (poi ripresa da Picasso), secondo cui il mediocre imita, il genio copia. Stando così le cose, si potrebbe evocare la finzione di Borges secondo cui Pierre Menard è autore del Chisciotte. Urge tuttavia affrontare il dilemma: bisogna che docenti e discenti siano dei geni o dei mediocri? In altre parole, si deve copiare o imitare? Lasciando ai posteri la sentenza, va pur detto che Galimberti ha il merito almeno di ricordare, in un video su YouTube, che il problema non è l’alternativa genio (copiare) o mediocrità (imitare), ma l’età: 1) Einstein ha scoperto la sua formula a ventiquattro anni; 2) Leopardi ha scritto L’Infinito a ventun’anni. Dato il dominante inconscio collettivo borghese, intriso di maschilismo patriarcale, gli esempi suggeriti sono naturalmente al maschile, quasi che sia impossibile affiancare ad essi una casistica femminile. Onestà intellettuale impone tuttavia di ricordare esempi speculari a quelli qui suggeriti. Ecco, fra i tanti reperibili non in sussidiari (che censurano la pericolosa soggettività femminile), ma online, poniamo su Wikipedia o nel sito A Celebration of Women Writers curato da Mary Mark Ockerbloom: 1) nel quindicesimo secolo l’umanista bresciana Laura Cereta, sposatasi a quindici anni e rimasta vedova a diciassette, prima dei trent’anni scrive un epistolario in latino dove progetta una “res publica mulierum”; 2) nel diciottesimo secolo la ventitreenne Luisa Bergalli Gozzi pubblica (inserendovi componimenti propri, fra cui uno dedicato alla nobildonna Contarina Zorzi) due monumentali volumi di Componimenti poetici delle più illustri rimatrici di ogni secolo. C’è da chiedersi se oggi in Europa le giovani e i giovani siano nella condizione di fare altrettanto, cioè di essere creativi. Già a ventisette anni Colette nel suo primo romanzo, intitolato Claudine à l’école (1900), lamentava l’orrore prodotto a scuola dai compiti scritti: “Ces compositions françaises, je les ai en horreur! Des sujets stupides et abominables: ‘Imaginez les pensées et les actions d’une jeune fille aveugle’ (Pourquoi pas sourde-muette en même temps?). Ou encore: ‘Écrivez, pour faire votre portrait physique et moral, à un frère que vous n’avez pas vu depuis dix ans’. (Je n’ai pas la corde fraternelle, je suis fille unique)”. Come dar torto a questa straordinaria scrittrice? O si hanno elementi per pensare che, coadiuvati da prove Invalsi, i Ministri della Pubblica Istruzione si muovano a pieno ritmo nella direzione di favorire Einstein e Leopardi, Cereta e Bergalli?