Olga Chieffi
Sarà il piano duet, composto da Maria Libera Cerchia e Antonello Cannavale, l’ assoluto protagonista nella chiesa di San Giorgio in Salerno, quale quarto appuntamento della rassegna “Grande Musica a San Giorgio” , giunta alla sua IV edizione, dal titolo “Senza confini” che ci accompagnerà sino al 22 giugno. Le sorprendenti architetture barocche dell’antica Chiesa di San Giorgio accolgono la programmazione musicale ideata e promossa dall’Associazione Alessandro Scarlatti presieduta da Oreste de Divitiis, e realizzata con il sostegno del MIC e della Regione Campania, in collaborazione con la Fondazione Alfano I e Salerno Sacra e con il patrocinio del Comune di Salerno. Capita assai di frequente che il professore di pianoforte decida di “accoppiare” due allievi della sua classe, presso a poco della stessa età e dello stesso livello di sviluppo tecnico-artistico, per far loro saggiare il repertorio a quattro mani e per due pianoforti. Un tempo il “quattro mani” costituiva prezioso strumento educativo che permetteva di far conoscere ai ragazzi un mondo, quello sinfonico, non facilmente fruibile nella versione originale. Oggi, i professori di pianoforte, formano nella loro classe dei duo perché suonare con un partner significa innanzitutto imparare a calibrare il fraseggio in modo non solipsistico ma comunicativo. E ancora, l’uso non puramente istintivo, ma ragionato dei pedali o la scoperta della vita pulsante delle parti di mezzo, sono prerogative dello studio in questa formazione. La serata monografica, dedicata interamente a Franz Schubert, verrà inaugurata dal cosiddetto Lebenssturme, D.47, datato 1828 e pubblicato postumo. Esso non è altro che un primo tempo (Allegro ma non troppo) di una sonata a quattro mani in La minore di cui il Rondò op.107 D.951, in La maggiore, potrebbe costituire forse il movimento conclusivo. E’ questa, una pagina piena di una vitalità esuberante ed entusiastica, e tutt’altro che drammatica, ad onta dello sciocco titolo escogitato dall’editore Diabelli, al momento della prima edizione, questo Lebenssturme, rivela, rispetto alla Fantasia op.103 una volontà costruttiva assai più convenzionale, contraddetta soltanto dal rapporto cromatico presente tra il trionfante primo tema pieno di slancio, di carattere orchestrale ed il secondo più raccolto e pensoso. Il programma verrà completato dal celeberrimo Gran Duo in do maggiore, con la sua ampiezza delle campiture e la nobile calma che intride, fin dall’Allegro moderato iniziale, questa composizione. Un dolce tema un poco esitante, su un ritmo puntato, viene enunciato dal ‘primo’ in piano; e dopo poco ripreso in fortissimo, con un effetto affermativo e su di una eguale figurazione ritmica si distende il secondo tema, in la bemolle di contenuto emotivo non lontano dalla melodia di apertura. Ampia la riesposizione, cui segue uno sviluppo veemente, chiaroscurato — con passaggi che toccano il marziale —; una forte coda, con passaggi in ottava, note ribattute, audaci armonie. L’Andante successivo, in la bemolle, appare dominato da un intenso lirismo: la prima frase è difatti una delle tipiche melodie “lunghe” di Schubert nelle quali si effondono malinconia, tenerezza, senso della natura: poi, un sorprendente passaggio dalla tonalità di la bemolle a quella di mi maggiore proietta su questo clima un barbaglio drammatico. D’ora in poi, tutto il movimento, di “celestiale lunghezza” sarà improntato da un quasi nevrotico alternarsi di piani e fortissimi che sconvolge l’iniziale impressione di lirismo disteso; al limite, si potrebbe intravedere in questo Andante qualche tratto di quel demonico che cova nel profondo della sensibilità schubertiana e che attende ancora una messa a fuoco meno superficiale e occasionale di quanto sia stato finora fatto. Lo Scherzo (Allegro vivace) è il “naturale” ritorno a Vienna di un esule, quale Schubert poteva sentirsi in Ungheria, ai suoi ritmi di danza all’aria aperta lungo il Danubio: festosità irruenta attenuata da un poetico Trio in fa minore. “Il Finale — scrive lo Einstein — è il movimento più importante, e presenta tutti i tratti del ‘genius loci’. Ungherese nel ritmo e nella melodia, questo movimento, nonostante lo sviluppo che è quasi il più serio e il più abile di quanti Schubert avesse fino allora composto, è concepito nella forma e nello spirito di un’Ouverture di vasto respiro” e dominato da una pulsazione ritmica piuttosto insolita, da un senso dinamico e vitale che ne fanno quasi un unicum nella vastissima produzione dell’autore.





