Di Alessia Potecchi* La lotta al cambiamento climatico è prioritario e la transizione ecologica va realizzata. La preoccupazione per i rischi legati all’emissione crescente dei gas climalteranti è stata oggetto di una serie di interventi, iniziati a livello globale fin dal 1992 e successivamente dettagliatesi in interventi continentali con la strategia europea dal Green Deal nel 2020 e in interventi nazionali che in Italia sono legati a una parte consistente del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) approvato nel 2021. Dagli accordi di Parigi del 2015 deriva la strategia europea del cosiddetto “Green Deal” alla cui base vi è la volontà della Commissione europea, presieduta da Ursula Von Der Leyen, di fare della transizione ecologica la chiave per un rilancio economico del continente. Tra i provvedimenti assume grande importanza quello che impegna l’Unione Europea a una riduzione del 55% nell’emissione dei gas climalteranti tra il 1990 e il 2030, e in seguito alla cosiddetta «neutralità carbonica» entro il 2050. In correlazione a questo l’Unione europea ha successivamente iniziato ad emettere una serie di provvedimenti specifici contenuti nel cosiddetto Pacchetto Fit for 55. Il più noto tra questi è quello che mette al bando la vendita di autoveicoli e furgoni a motore endotermico entro il 2035. Questa accelerazione nasce dalla consapevolezza che il solo comparto delle autovetture è responsabile per il 12% delle emissioni di CO2 a livello europeo senza contare poi gli altri inquinanti atmosferici emessi dal settore dei trasporti che causano gravi conseguenze sulla salute. Da anni il settore dell’automotive vive in un quadro di fragilità, acuitosi nel 2020 con la crisi pandemica e nel 2021 con una crisi di approvvigionamento, produzione e logistica di componenti e materie prime. Il settore automotive italiano ha notevolmente ridotto da tempo i suoi volumi storici in tema di vetture finite e di attività di innovazione. A questo si affianca un’accelerazione politica e normativa da parte dell’Europa e una sempre più forte richiesta di investimenti e acquisizione di competenze tecnologiche volte all’elettrificazione dell’intera filiera. La Transizione Green ci pone davanti a questioni nuove perché se da una parte produce nuovi posti di lavoro dall’altra produce anche un calo dell’occupazione nei settori ad alta intensità energetica e quindi la necessità di un adeguamento importante su queste questioni e una nuova riorganizzazione globale di interi settori. La differenza di numero di componenti tra le auto e i furgoni a motore endotermico e quelli elettrici, e di conseguenza la minore manodopera necessaria, è una delle argomentazioni principali per le previsioni di perdite occupazionali. Ad oggi, infatti, un autoveicolo tradizionale con motore endotermico è composto da 7.000 componenti diverse, mentre uno elettrico arriva ad avere un massimo di 3.500/4.000 componenti. Questi processi vanno accompagnati e sostenuti con grande attenzione. Per la tutela del settore, sarà necessario apportare alcune ristrutturazioni sostanziali, sia dal punto di vista dell’innovazione di prodotti sia per quanto riguarda l’occupazione. Occorre valorizzare e incentivare il nostro comparto manifatturiero che ha delle eccellenze importanti e di valore ed evitare che le fasce più deboli paghino il prezzo più alto rispetto a questi processi per quanto riguarda l’occupazione, il reddito e la sicurezza sociale. Dobbiamo agire innanzitutto in ambito europeo con gli strumenti sociali che guardano in lunga prospettiva, questa è la nostra piattaforma di azione, e affrontare il tema della transizione ecologica sul lavoro. Sul piano italiano va definito un patto nazionale per la transizione ecologica e digitale adattandolo anche ai singoli territori. Dobbiamo occuparci della questione salariale. Negli ultimi 30 anni i salari in Italia sono aumentati dello 0,3%. Allo stesso tempo in Germania e Francia +33%, in Inghilterra +50,5% e negli Stati Uniti +52%. Solo nel 2022, a causa dell’inflazione, in Italia i salari reali hanno perso 6 punti percentuali, oltre il doppio di quanto perso dalla media Ue. Occorre intervenire per invertire questo trend dando più potere di acquisto ai lavoratori al fine di aiutare la nostra economia in un momento di crisi come quello che stiamo ancora attraversando. Aggiungiamo la riduzione dell’orario di lavoro, perché la difficoltà a creare nuovi posti può essere bilanciata da una migliore distribuzione di quelli che già ci sono e un taglio strutturale del cuneo contributivo del 10% per tutti i lavoratori e del 30% per i giovani in ingresso nel mercato del lavoro a cui aggiungere il recupero del Fiscal Drag, il drenaggio fiscale reso possibile indicizzando la detrazione all’inflazione, che servirebbe a recuperare almeno una mensilità all’anno. * Responsabile Dipartimento Banche, Fisco e Finanza del Pd Metropolitano di Milano