“Se vogliamo davvero limitare gli effetti di una burocrazia eccessivamente difensiva nel nostro Paese, bisogna lavorare a una riforma che riporti definitivamente nei giusti ambiti le responsabilità penali dei funzionari della Pubblica Amministrazione. Distinguendo nettamente tra le fattispecie penalmente rilevanti nel momento in cui si contravviene a norme riconducibili a fonti primarie, e quelle riconducibili alla discrezionalità dei funzionari per le quali deve intervenire la stessa PA. Un percorso lungo e tortuoso che è l’unica via d’uscita affinché la burocrazia difensiva ceda il passo a quella consapevole”. Questa la proposta formulata da Catello Vitiello (già presidente della Commissione Giustizia della Camera e parlamentare di Italia Viva), nel corso del webinar “Un macigno sulla PA: il peso delle responsabilità. Non si semplifica se i dirigenti hanno paura di firmare” promosso dalla Cassa di previdenza dei Ragionieri e degli Esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca. “L’esempio del reato di abuso d’ufficio contemplato dall’art. 323 c.p. è molto esemplificativo. Nato come norma di chiusura per dare dignità alla PA – ha proseguito Vitiello -, nel corso del tempo è stato modificato al punto tale che non si è negato davvero a nessuno diventando una fattispecie patologica della pubblica amministrazione. Un messaggio profondamente sbagliato parzialmente attenuato dalla recente riforma del 2020 che ha portato un indubbio miglioramento slegando il momento della rilevanza penale dalla violazione tout court della norma”. Ad approfondire il tema sull’eccesso di burocrazia ci ha pensato Gianluca Cantalamessa (deputato della Lega in Commissione Finanze a Montecitorio): “Una delle più grandi storture della PA in Italia è che potere e responsabilità dovrebbero viaggiare di pari passo e invece ciò non avviene determinando accentramenti di potere, da un lato, e decentramenti di responsabilità dall’altro. La burocrazia difensiva rende il Paese meno appetibile sia per gli investitori stranieri che per le aziende di casa nostra. I problemi sono evidenziati da numeri che si commentano da soli, partendo, ad esempio, dal processo di digitalizzazione dei servizi. Il 45% degli enti pubblici non ha un responsabile per la transizione digitale mentre il 53% dei portali della PA sono solo siti vetrina. Della parte restante – ha osservato Cantalamessa – solo il 13% consente il pagamento on line. In questa situazione il ‘non fare’ diventa premiante in un Paese dove negli ultimi 5 anni le cosiddette semplificazioni hanno portato 53 nuovi obblighi. Non è un caso che tra le priorità indicate dall’Ocse si siano proprio la riforma della PA, quella fiscale e quella della giustizia. Carenza di infrastrutture, costi energetici e incertezza del diritto sono le principali cause della perdita di investimenti in Italia”. Secondo Vincenzo Presutto (senatore del M5s in Commissione Bilancio di Palazzo Madama): “La PA mai come in questo momento è osservata speciale. Bisogna agire sulla ratio di base che alimenta la burocrazia difensiva cambiando radicalmente impostazione. Ad una pubblica amministrazione tutta incentrata su se stessa si sta progressivamente perdendo il punto di vista fondamentale: garantire i servizi essenziali ai cittadini. Quando si concentrano le attività avendo come punto di riferimento i dipendenti – ha aggiunto Presutto -, si ottiene un concentrato di responsabilità individuali che esonera, al tempo stesso, quella della struttura nel suo insieme. Nel settore privato, quando si parla di digitalizzazione, si fa riferimento a una riorganizzazione per processi e non per procedure. Portando questo metodo nella PA i cittadini avranno maggiore possibilità di vedere garantito il loro accesso ai servizi. Se, al contrario, le amministrazioni non dialogano tra loro e non hanno una interoperabilità si ottiene solamente la proliferazione di centri di potere separati e in lotta tra loro. La stratificazione normativa, poi, fa tutto il resto”. Sulle responsabilità dei funzionari pubblici si è soffermato Galeazzo Bignami (parlamentare di Fratelli d’Italia nella Commissione Finanze della Camera dei Deputati): “Un approccio eccessivamente spinto verso la burocrazia difensiva sta causando un processo inarrestabile di deresponsabilizzazione che viene scaricata puntualmente su cittadini e imprese. Se da un lato bisogna agevolare i funzionari sburocratizzando l’intero sistema, meno carta, meno passaggi e meno norme che uno si può trovare a violare. D’altra parte è innegabile che proprio in piena emergenza pandemica proprio questa categoria ha usufruito di tante tutele in più rispetto agli imprenditori e ai liberi professionisti e non può essere che le garanzie non operino quando c’è da partecipare al rilancio del sistema Paese. Va detto con chiarezza – ha rimarcato Bignami – che nessuno ha costretto i funzionari pubblici a fare i concorsi, ben sapendo che, insieme alle possibilità di prospettiva di carriera, ci sono anche responsabilità da assumersi. Il terrore della firma non può essere una giustificazione valida. Il Pnrr può essere uno strumento adeguato a superare tutto questo a patto che sia accompagnato da operatività verticali che taglino le burocrazie”. Il punto di vista dei professionisti è stato espresso da Claudio Cavallo (commercialista e revisore legale dell’Odcec Cuneo) e Paolo Longoni (consigliere d’amministrazione della Cnpr): “Il tema delle semplificazioni deriva dalle tante sollecitazioni emerse nel corso dei forum e degli incontri tecnici. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio mantra. Tuttavia di semplificazioni si parla dal 2012 a far data dal quale ogni anno è stato licenziato un testo diverso. Il risultato è stato un affastellarsi di norme che frena la ripartenza dell’Italia e la sua concorrenzialità con i competitor europei e mondiali, alimentando il fenomeno della burocrazia difensiva per la quale non facendo non si corrono rischi. Lo ‘sport’ principale – hanno evidenziato – sembra essere diventato quello di chiedere pareri infiniti prima di decidere e poi rimandare; non fare nulla senza esplicite direttive superiori per evitare di incorrere nelle trappole della iperproduzione di regole che generano innumerevoli rischi di errori e violazioni. Pensiamo alle incredibili vicissitudini del codice degli appalti: nel 2016 il legislatore promulgò questo testo unico composto da 222 articoli. Ad oggi ha già subito 818 modifiche. Il solo articolo 36 è stato modificato già sedici volte, quattro in un solo anno. E’ ovvio che l’operatore della PA resti ‘congelato’ dal timore di incorrere in violazioni di legge preferendo non adottare alcun provvedimento. L’Italia è malata di burocrazia. Lo sforzo enorme che va fatto è quello di riportare il significato di questo termine, oggi dispregiativo, al suo significato originale: una organizzazione di persone e risorse destinata all’ottenimento di fini condivisi”.
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