Pagani. Niente sconti al presunto armiere del clan Fezza/De Vivo di Pagani. Resta in carcere il 32enne Giuseppe D’Auria su decisione della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso presentato dal giovane contro l’ordinanza del Riesame di Salerno in seguito alla decisione del gip su input della Dda. Era finito in cella a giugno nell’ambito del blitz sulla cosca della Lamia che aveva stretto rapporti con Rosario Giugliano ‘o minorenne ora collaboratore di giustizia. Su di lui, come per altri, pende una richiesta di rinvio a giudizio a Salerno che sarà discussa a febbraio davanti al gup. Si contesta a D’Auria la partecipazione alla associazione di tipo mafioso individuata nel clan Fezza-De Vivo operante a Pagani e diretta da Fezza Francesco e De Vivo Andrea, attribuendo il ruolo gestore delle armi e dell’attività di spaccio nonché custode dei proventi delle attività illecite. Inoltre è accusato in concorso in detenzione e porto in luogo pubblico di armi, con le aggravanti delle più persone riunite e dell’agevolazione mafiosa. Secondo la difesa D’Auria è soggetto estraneo ad ogni vincolo associativo, tenuto conto dell’assenza di riscontri concreti in ordine alla gestione dell’attività di cessione di sostanze stupefacenti, alla effettiva detenzione di armi, alla partecipazione alle riunioni del clan. Scrive la Cassazione: “Il Tribunale del Riesame di Salerno non appare essere incorso nei vizi denunciati di violazione di legge e difetto di motivazione, anzi ha individuato come militino a carico di D’Auria alcune dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia che lo individuavano come soggetto affiliato al clan Fezza-De Vivo. In conformità a quelli che sono i confini del sindacato di legittimità sulla motivazione, ovvero la verifica della completezza e della non manifesta illogicità della stessa, è allora sufficiente osservare che il Tribunale del Riesame non ha trascurato alcun elemento potenzialmente idoneo a condurre ad un diverso esito del giudizio ed ha evidenziato circostanze certamente sintomatiche – tanto più a livello di gravità indiziaria – di una condotta partecipativa”. E ancora: “Il Tribunale del Riesame, con motivazione puntuale, esaustiva e aderente a tale principio ha esaminato analiticamente la condotta del 32enne e ricondotto la stessa nell’alveo del reato della partecipazione all’associazione”. il Collegio della cautela ha evidenziato, sulla scorta degli atti di indagine, costituiti principalmente dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giovanni Orefice Giovanni, Rosario Giugliano Rosario e Raffaele Carrillo: -in occasione di un incontro tra gli associati per risolvere problematiche connesse alla gestione dell’attività di spaccio, D’Auria si era presentato con un borsone contenente numerose armi, provvedendo poi a distribuirle presso una palazzina in costruzione con all’epoca dell’incontro lo stesso D’Auria era agli arresti domiciliari. Infine “D’Auria godeva di prestigio criminale che gli derivava dalla sua parentela con Giuseppe Olivieri ed era tra i pochi che poteva parlare con Rosario Giugliano” si legge nelle motivazioni della Cassazione.
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