di Rosa Pia Greco
Penultimo appuntamento, domani, domenica 24 ottobre, alle ore 19, con la rassegna “Qui fu Napoli… qui sarà Napoli” promossa dall’Associazione Consorzio “La Città Teatrale” di Salerno con il finanziamento della Regione Campania ed il patrocinio del Comune di Salerno. Per il settimo appuntamento, che ha già fatto registrare il sold out, il sipario si alzerà al Teatro Del Genovesi diretto da Enzo Tota. Di scena, la Compagnia Teatro Mio di Vico Equense che presenta Anna Cappelli che proporrà un lavoro di Annibale Ruccello “Anna Cappelli” con Olimpia Alvino, per la regia di Geppi Di Stasio. ‘Anna Cappelli’ è un crudo e implacabile spaccato dell’Italia di provincia dominata dalla sovrastruttura di una morale cattolica che Ruccello ha sempre stigmatizzato; è un testo che va all’essenza del sentire umano più recondito. Anna é un’anonima impiegata, non più giovanissima, che ha lasciato il paese per lavorare in città. Con l’impiego, aspira ad avere una casa sua, non vuole più sentirsi ospite mal tollerata di situazioni provvisorie. L’incontro e la convivenza con Tonino, collega d’ufficio e proprietario di un appartamento, sembra esaudire ogni desiderio di Anna, ma l’epilogo non é esattamente un lieto fine. Ruccello ha scritto Anna Cappelli poco prima della sua prematura scomparsa: sette dialoghi per attrice sola che parla con qualcuno fuori-scena: prima la padrona della stanza affittata da Anna, poi Tonino. Non si tratta dunque di monologhi interiori ma di colloqui di cui lo spettatore sente solo la parte di Anna. Nella nostra interpretazione la solitudine tragicomica di Anna verrà oggettivata da un alter-ego, un’ombra, una figura che svela il non detto o il censurato. La Trama Anni ’60. Anna Cappelli è una donna scialba e ingenua, che si è trasferita da poco a Latina per lavorare nella pubblica amministrazione. Anna si lascia alle spalle una famiglia oppressiva, che tende a umiliarla e vessarla in favore della sorella, ritenuta più meritevole; la donna sogna un futuro roseo e una vita agiata, ma è costretta a vivere nello squallido e puzzolente appartamento della signora Tavernini, dalla quale viene a sua volta maltrattata. La svolta sembra arrivare quando Anna incontra Tonino Scarpa, un ragioniere insipido ma benestante che inizia a corteggiarla. Dopo sei mesi di frequentazione l’uomo le propone di andare a convivere more uxorio, asserendo che il matrimonio sia un’inutile convenzione borghese. Anna si trasferisce nella ricca dimora del suo amato, non senza incontrare le resistenze della signora Tavernini e i pettegolezzi dei colleghi, che ritengono sconveniente che una donna e un uomo vivano insieme senza essere sposati. Tonino, inoltre, le imporrà di lasciare il lavoro e di non avere figli: pur di avere la vita che sognava, Anna accetta passivamente queste privazioni. Col passare del tempo Anna diventa sempre più possessiva e cerca di imporre le proprie scelte nella vita in comune con Tonino: ad esempio, col pretesto di non sentirsi accettata, lo spinge a licenziare l’anziana cameriera Maria che lo accudiva. Trascorrono due anni, durante i quali l’ossessione di Anna nel controllare la vita di Tonino porta a un vero e proprio rovesciamento dei ruoli: è lei a sottomettere lui, non più viceversa. A quel punto il ragioniere le annuncia di volersi trasferire in Sicilia senza di lei; a nulla valgono i suoi pianti: l’uomo le dice che lo scopo della convivenza era proprio non porre vincoli tra i due. Incapace di sottostare all’abbandono e vedendo la sua intera vita andare in pezzi, Anna compie un gesto estremo: uccide Tonino e ne fa a pezzi il corpo, con l’intenzione di mangiarselo. Nell’ultima scena Anna parla ai resti di Tonino, spiegandogli che dopo averne mangiato tutte le carni utilizzerà le ossa per fare delle candele con le quali dar fuoco alla casa, suicidandosi. Al momento di scegliere quale parte del corpo divorare per prima, tuttavia, Anna si rende conto di non essere in grado di prendere da sola questa decisione: accorgendosi dell’enormità del misfatto compiuto, la donna non può fare altro che invocare inutilmente il suo amato Tonino, urlando un doloroso “Aiutami!”. “Una pièce che mostra sentimenti veri o presunti così fisici da poter essere ingurgitati. Un testo con queste caratteristiche ha suggerito alle nostre corde di leggerlo in maniera ancor più essenziale, simbolica estraniata in un allestimento scarno e descrittivo al tempo stesso, cercando di far coincidere le suggestioni dello stesso Ruccello con l’epicità di Brecht”, scrive il regista Geppi Di Stasio.