di Olga Chieffi
La rassegna Incontri ha affidato sabato sera, il suo primo weekend salernitano allo Scenario Pubblico Compagnia Zappalà Danza con “Romeo e Giulietta 1.1 – la sfocatura dei corpi”. Una vera e grandissima sintesi quella operata da Roberto Zappalà, che in un ponte di note che passa dall’ ouverture del Romeo and Juliet, per la perfezione crediamo diretta dallo “Czar” Valery Gergiev. Romeo and Juliet ai Pink Floyd, di Speak to me, all’ Elvis Presley di Love me Tender dalle parole di Cara maestra di Luigi Tenco al “La Rosa” di José Altafini, al celebre mambo di Mirageman, “Nicaragua”, sino al Cage di The Perilous Night, per quindi, ritornare al genio russo con l’estatica scena del balcone, le dinamiche variazioni di Mercuzio, l’addio di Romeo e Giulietta in un’atmosfera di rimembranza e di sogno che comprende il motivo dell’amore, il tema dell’addio e la premonizione di morte e il finale con Romeo vicino alla tomba di Giulietta, la morte in un’atmosfera di sublimazione, non lontana dal finale del Tristan und Isolde wagneriano. Tutto è iniziato nel foyeur, in cui abbiamo trovato Romeo in maschera da sub per sottolineare che lui osserva il mondo attraverso una separazione che è la lente della maschera, da un lato per ingrandire la visuale e, dall’altro, come un pretesto per provare a trovare il punto di vista del pesce, e andare ad esplorare un mondo estraneo, fatto di barriere invisibili e fumose. In sala anche gli spettatori entrano in questo acquario con Romeo e man mano che scorrono i brani musicali, l’avvicinamento di Romeo a Giulietta si fa più palpabile, ed evidente è il suo interesse per lei attraverso una progressiva persuasione di Giulietta al ballo di coppia. Una esibizione che diviene una sorta di competizione, isolata, che continua in una danza speculare ma frontale, fino alla caduta della maschera, come per una sorta di curiosità nei confronti di ciò che sta sotto la pelle, che avviene sulle note di The Perilous Night, di John Cage, intrecciato con il dialogo del film di Woody Allen “Harry a pezzi”, un brano percussivo, in cui Romeo e Giulietta cercano di far saltare quei confini invisibili che ancora li separano. Il movimento che segue la ripresa del brano ritmico di Cage è tutto incentrato sull’autosfocatura dei corpi, con mani che passano sui confini dello schema corporeo e ne cancellano le linee. Poi, il silenzio un tempo di riflessione in cui i due danzatori seduti, speculari al proscenio, si tolgono le scarpe e le calze, in rigorosa alternanza: prima Giulietta, poi Romeo, in un momento di silenzio vivo. “Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino” questo il consiglio, che Capa era solito dare ai colleghi fotografi, mentre Uta Barth raffigura intenzionalmente oggetti banali o accidentali in un ambiente anonimo per focalizzare l’attenzione sull’atto fondamentale del guardare e del processo percettivo. Riprende Prokofiev e siamo alla scena del balcone, i due amanti raggiungono il centro del palco, si doppiano guardandosi, si siedono, quasi spalla contro spalla, quindi, si stendono in una postura finalmente affettiva. Seguono le variazioni di Mercuzio e l’addio: i due corpi, ormai sono l’un l’altro accessibili, i corpi sono vicini, la “sfuocatura” inesistente, la visibilità adesso corrisponde soprattutto alla misura del reciproco rispetto e non soltanto alla dismisura della loro passione. Si sta giungendo al finale, Romeo e Giulietta si spogliano nel caldo controluce sul fondo, una svestizione visibile se pur nei contorni, ma reciproca. Le ombre disegnano tracce a terra che “mangiano” il palcoscenico e i corpi stessi, si deve resistere, sostenersi, pathire, per liberarsi di ogni catena. La passione non è la cecità di lasciarsi prendere da un’urgenza, ma pathire, cioè vivere profondamente e dare spessore alla storia, poichè l’uomo è libero e vive in quanto trascende con il proprio pensiero la stessa vita immediatamente vissuta, quando pensa la Vita.