di Vito Pinto
Viaggiatore inverso nel tempo della storia, Renaldo Fasanaro ancora una volta si isola dall’oggi quotidiano per trasferirsi in quel diciannovesimo secolo in cui visse uno dei massimi esponenti della letteratura italiana: il conte Giacomo Leopardi. Ed è un viaggio alla ricerca di un poeta diverso, un giovane che mal sopportava gli angusti spazi del “natio borgo selvaggio”, come descrisse la sua Recanati, dove «unico divertimento è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia». Ed è subito “L’ avventura dell’immaginazione”, come Fasanaro ha intitolato il suo paziente e lungo lavoro, in esposizione (dal 5 ottobre – ore 11 – al 10 novembre 2024) nelle intime stanze di quella che già fu residenza nobiliare della famiglia Pinto, oggi adibite a Pinacoteca della Provincia di Salerno, nel cuore antico della città. Non è certo nuovo, Fasanaro, a questi “viaggi inversi”: importanti furono i suoi studi sui testi dei Papiri dell’Apostolo Matteo, quelli su Papa Gregorio VII e tanti altri argomenti della cultura e della storia medioevale in Europa, le ricerche sui luoghi di Ernest Hemingway, temi che hanno legato il suo nome a questa città di mare, nobilissima per la sua Schola Medica e Opulenta per i suoi commerci. Ed è un racconto europeo quello che si dipana nella mostra, dove prepotente appare il desiderio di Leopardi di voler uscire da quel “centro dell’inciviltà e dell’ignoranza europea” – scriveva in una lettera a Pietro Giordani – perché sa che al di fuori c’è quella vita alla quale egli si è preparato ad inserirsi con impegno e con studio profondo. Ed è con rammarico che il poeta di Recanati dovrà fare ritorno al suo “villaggio” dopo aver constatato che il mondo al di fuori di esso non era quello da lui sperato. Scriverà: «Vaghe stelle dell’orsa, io non credea / tornare ancor per uso a contemplarvi».Non prima, però, di aver “sperimentato” i suoi viaggi a Milano, Bologna, Roma, Napoli, Firenze dove conobbe il gruppo di letterati appartenenti al circolo Vieusseux tra i quali Gino Capponi, Giovanni Battista Niccolini (amico e corrispondente di Ugo Foscolo esule a Londra), Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo e anche Alessandro Manzoni, che si trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi Sposi.E fu anche a Pisa, nel novembre del 1827, dove rimase fino alla metà del 1828, stringendo un’affettuosa amicizia con la giovane cognata del padrone del pensionato, Teresa Lucignani, a cui dedicò una breve lirica rimasta a lungo inedita. Era, quella di Leopardi, una Italia ancora frammentata, per cui ancora più importante appare il lavoro di Fasanaro che ha messo insieme circa 90 pannelli, presentando importanti reperti originali tra cui lettere inedite della sorella Paolina, del cugino letterato Francesco Cassi, dell’editore Antonio Fortunato Stella, di Pietro Giordani, di Giovan Pietro Vieusseux, di Francesca Targioni Tozzetti detta “Fanny” e di Antonio Ranieri, reperti affiancati da un ricco apparato iconografico costituito da dipinti e da stampe che ritraggono luoghi, personaggi e momenti dell’Italia preunitaria dell’ottocento.In questo contesto di frammentate sovranità statali, Leopardi si muove con animo europeista, si fa “nomade” per realizzare l’incontro con la cultura italiana ed europea della sua epoca. Una sezione della mostra, infatti, mette in evidenza i legami che il poeta seppe intrattenere con gli intellettuali stranieri del tempo: Johann Wolfgang Goethe, Madame de Staël, François-Auguste-René Chateaubriand, George Gordon Noel Byron, Alfred Louis Charles de Musset e Charles-Augustin Sainte- Beuve, Charlotte Bonaparte e Gabriel Rudolf Ludwig von Sinner.Si è aggirato, Fasanaro, tra la nutrita biblioteca del Conte Monaldo Leopardi e tra quei vicoli di paese un tempo attraversati dalla “donzelletta che vien dalla campagna”; si è guardato intorno tra quelle case ancora ricche di suggestioni leopardiane, anche se non incontra “su la scala a filar la vecchierella”. Ritorna il sole su “per li poggi e le ville” dopo la tempesta, eppure tutto cambia col tempo e con il “progresso”; persino “l’ermo colle” su cui Fasanaro non disdegna di salire, ha siepe diversa, “che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Squarci immaginifici su un passato vissuto da Fasanaro come pensieri nei quali, per poco, il cuore non si spaura. Ma nell’infinito silenzio il “viaggiator cortese” sembra ascoltare la voce del poeta, ritornato in spirito alla sua natia Recanati per mai più abbandonarla. Ed è il compimento di quell’unione tra Amore e Morte, Eros e Thanatos cui il poeta aveva dedicato non poca attenzione. Scriveva Leopardi nel suo “Zibaldone”: «Due cose belle ha il mondo, Amore e Morte»; scrive Gioita Caiazzo «Eros e Thanatos termini che tracciano, come un filo rosso, la breve vita di Giacomo vissuta alla ricerca della Morte, descritta come una fanciulla bellissima dal virgineo seno, abbracciata in rapporto di fraternità al suo gemello Amore». E tra i 90 reperti in mostra, unico tra i ritratti esistenti, spicca la maschera funebre in gesso dipinto che, “come per incanto, rende visibile il vero volto del Poeta dell’Infinito”.In una breve nota in catalogo, Marcello Andria scrive: La mostra rende visibili importanti testimonianze del poeta di Recanati attraverso l’esposizione delle edizioni originali delle sue opere, con documenti e reperti di eccezionale valore storico-culturale, che abbracciano l’arco della sua intera attività intellettuale fino alla data della sua morte». Memorie scolastiche rimbalzano alla mente: «e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei. Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / E il naufragar m’è dolce in questo mare». Scorre il tempo presente, alla vis(i)ta di tanta parte di vita del poeta, impalpabili e profonde emozioni si sospendono nell’animo ed è… “L’ avventura dell’immaginazione”.