Lello Arena inaugurerà questa sera, alle ore 21, la stagione di prosa del Teatro delle Arti, con la più amata delle opere di Eduardo Scarpetta. Alle 18 incontro con l’artista a cura di Stefano Pignataro
Di OLGA CHIEFFI
Ritorna Lello Arena al Teatro Delle Arti di Salerno, dopo la rilettura lo scorso anno della pièce Parenti/Serpenti, per inaugurare la stagione di prosa firmata dal patron Claudio Tortora con un grande classico del teatro di Eduardo Scarpetta, “Miseria e Nobiltà”, in un particolare adattamento dello stesso Lello e di Luciano Melchionna. Lello Arena vestirà i panni di Felice Sciosciammocca, al suo fianco il Pasquale di Andrea de Goyzueta, Eugenio, figlio del Marchese Favetti, Raffaele Ausiello, il Marchese Ottavio Favetti, Fabio Rossi, Gaetano avrà la voce di Luciano Giugliano, Gemma, sua figlia sarà invece Marika De Chiara, Luigino, figlio di Gaetano, Sara Esposito, Concetta, moglie di Pasquale, Giorgia Trasselli, Luisella, moglie di Felice, un’altra star del teatro comico napoletano, Maria Bolignano, Bettina, Carla Ferraro, Pupella, figlia di Pasquale e Concetta, Irene Grasso, Gioacchino Castiello, Fabio Rossi, Vicienzo, Alfonso Dolgetta e Peppeniello, figlio di Felice, il ragazzino che dice “Vicienzo m’è pate”, ruolo in cui hanno debuttato tutti i grandi del teatro partenopeo, sarà Veronica D’Elia, ai quali si aggiungerà Biase, per la voce fuori campo di Raffaele Ausiello. La trama è arcinota grazie anche al film che tutti noi conosciamo, inarrivabile, con Totò nel ruolo di Don Felice, che giunge all’iperbole dei maccheroni infilati nelle tasche della giacchetta sdrucita. Questa cupa presenza della fame che è frustrazione non più solo per ciò di cui la fame fugge, ma anche quello di cui la fame si nutre, sarà vista, giustamente, da Luciano Melchionna con occhio diverso, con occhio senza tempo. Infatti, la tragica situazione, il pericoloso modo di vivere e la fame, soprattutto quella dei più infimi strati del ceto medio, sono ancora quelli di fine ‘Ottocento. Questa la chiave di lettura dell’omaggio a Scarpetta che andremo a vedere stasera, il mostrare quale sostanza viva e vitale, quale umanità, quale capacità di affrontare i drammi di più generazioni vi siano nel testo scarpettiano. La borghesia ascendente nel 1887, borghesia della giovane industria, e poi, bancaria e finanziaria, precipita ormai sulla linea discendente della sua parabola; ma da allora ad oggi, è rimasta immutata la miseria di quegli strati che vengono classificati come appartenenti alla piccola borghesia, e spesso alla media. Nella tragicommedia di Melchionna e Arena i personaggi diventano archetipi, maschere, di una tradizione che, purtroppo, non si discosta dalla realtà attuale dove i poveri sono sempre più poveri e i ricchi, nella loro sconfinata miseria interiore, sempre più ricchi. Una lettura che non potrà non farci pensare a Brecht, poiché questi personaggi archetipi andranno ad esporre uno squarcio di vita umana, una vivente pagina della società in una struggente allegoria, in particolare nel momento del finale primo, quando il cibo sarà gettato dall’alto come pastone per animali. In questo modo gli attori e il pubblico potranno riempire il loro dialogo ideale di notazioni e riflessioni anche sugli ultimi di oggi,ovvero quegli emigrati che cercano salvezza e accoglienza e sono considerati rifiuti. Che si tratti di una via percorribile questa di Arena e Melchionna, attraverso la quale, dalla risata, dal disordine, magari dall’incoerenza, questi “tipi” potranno finalmente tendere all’infinito?