Di Marco Parisi
Carissimo Maestro, a partire dalla prima volta che mi presentò a Voi il compianto Fortunato Santoro, come nuovo allievo per la preparazione dell’esame di solfeggio, ebbi la distinta sensazione di una persona di una umanità e una cultura superiore, come tutti i grandi insegnanti dovrebbero essere: “Insegna a S. Cecilia”, mi fu detto, che era già di per sé un grande biglietto da visita.
Simpatico e a modo, sempre con la battuta pronta e soprattutto moderno: molto più di troppi allievi che nella Vostra scuola, il Setticlavio, mi additavano come un “estraneo” perché strumentista di musica leggera mentre Voi, all’organo elettronico, mi facevate ascoltare anche il tema de’ “Il dottor Zivago” dimostrando, oltre al gusto, una superiorità unica con la capacità di non creare barriere tra i generi musicali. E le collane di dischi di cantanti di musica leggera anni ’30 e dintorni che Vi vedevo comprare, le domande sulla nomenclatura degli accordi jazz che rivolgevate a me, un ragazzo di 19 anni, Vi ponevano al di sopra per apertura mentale e fame di allargare i confini del vostro sapere musicale di molti Vostri colleghi dell’epoca, che mai si sarebbero sognati di farlo e di scostarsi dalla musica cosiddetta seria. “Parla italiano”, se parlavo in dialetto: appreso il suggerimento, mi sono sempre rivolto a Voi in italiano e di rimando mi avete sempre risposto simpaticamente in dialetto, aggiungendo il gesto delle corna come saluto scaramantico: Vi farà piacere sapere che quel “saluto” ora lo rivolgo ai miei allievi.
E tutte quelle diatribe sul modo di insegnare il solfeggio in Italia? Per voi che avevate girato il mondo e constatato come venisse impartito l’insegnamento musicale in altri Paesi era una sofferenza, ma non ho avuto la possibilità di dirVi che forse era meglio allora, rispetto a oggi. Avevate addirittura avuto il tempo di fare un libercolo su cui venivano riportate con delle splendide vignette le battute che possono scaturire solfeggiando, incaricandomi di suggerirVene altre qualora ne avessi avute di nuove, cosa che prontamente ho fatto. Certamente, non sembrava troppo formativo per noi allievi avere un insegnante che discute la sua stessa materia di insegnamento, ma il senso critico che ne è venuto fuori ha sviluppato in me la consapevolezza di dover migliorare la didattica il giorno che sarei stato io l’insegnante, e di questo vi devo sempre ringraziare. E tutti i supporti didattici che creavate: che pazienza, ma la notte non dormivate? Sono stato sempre uno dei primi ad esserne informato ed averli a domicilio, come consuetudine, presso le mie scuole di musica che avete sempre visitato con un pizzico d’orgoglio, come se indirettamente fossero state Vostre creature, e in fondo un po’ lo erano. Potrei stare ore a parlare, sono passati 40 anni: tra lezioni, i vari S.Matteo con Martini e dolcini, battute e vari episodi ne avrei cose da raccontare. Quando Vi ho conosciuto avevate 46 anni, io ora ne ho 13 in più e sto realmente piangendo come se avessi perso un altro padre: la Vostra preparazione, la Vostra sagacia e il Vostro modo di prendervi mai sul serio mi rimarranno sempre impressi, ma credo di parlare anche a nome di tutte le persone che vi hanno conosciuto e frequentato. Grazie di tutto.
Marco Parisi docente di Tastiere Elettroniche Jazz, Conservatorio Musicale “G.Martucci” Salerno