Sono partiti i blitz nei porti di Salerno e Bari per difendere il nostro made in Italy dall’invasione di prodotti stranieri. Le operazioni di denuncia sono andate avanti per diverse ore, con gli agricoltori di Coldiretti che, una volta saliti sui gommoni, hanno avvicinato le navi al grido di “No fake in Italy” lanciato durante la mobilitazione al Brennero di qualche mese fa. “Stop falso cibo italiano” e “Basta import sleale” alcuni degli slogan esposti dalle imbarcazioni, per rilanciare ancora una volta la richiesta della revisione del criterio dell’ultima trasformazione del Codice doganale sull’origine dei cibi, quello che oggi permette il furto d’identità dei nostri prodotti made in Italy e fa vendere come italiano un prosciutto fatto con cosce di maiale provenienti dall’estero. «Come Coldiretti oggi siamo ai porti di Bari e Salerno contro le importazioni sleali fatte con lo sfruttamento dei lavoratori cinesi o senza rispettare gli standard europei. Vogliamo che venga rimesso in discussione il principio del codice doganale sull’origine dei cibi, dove ciò che conta è solo l’ultima trasformazione», ha dichiarato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini dall’audizione al Senato dove è intervenuto sul tema Dl agricoltura. «Bene che il Ministro Lollobrigida abbia aperto a questa possibilità, che è per noi la madre di tutte le battaglie a livello europeo. Riteniamo che non può e non deve essere l’ultima trasformazione, ma il prodotto che viene utilizzato, che ne deve esaltare quella che è l’italianità. Per questo siamo oggi nei porti, per denunciare questa stortura che mette a rischio il nostro made in Italy e le nostre aziende e per questo stiamo raccogliendo 1 milione di firme per la richiesta di una legge popolare europea per ottenere l’obbligo di origine su tutti i prodotti in tutta Europa», ha aggiunto il presidente. A Salerno la nave è giunta al porto di Salerno e gli uomini di Coldiretti si sono avvicinati ai 40 container di concentrato di pomodoro cinese accusato di essere ottenuto con lo sfruttamento del lavoro delle minoranze. Il carico era partito lo scorso 29 aprile sul treno della China-Europe Railway Express per essere trasferito su nave e arrivare nel porto di Salerno dopo un viaggio di diecimila chilometri tra binari e mare. Il 90% del concentrato di pomodoro cinese destinato all’esportazione viene dai campi della regione dello Xinjiang, dove verrebbe coltivato grazie al lavoro forzato degli uiguri. Un fenomeno denunciato dalle associazioni per il rispetto dei diritti umani. Lo scorso anno l’Italia ha importato 85 milioni di chili di pomodoro trasformato cinese, proveniente in gran parte proprio dallo Xinjiang nonostante il fatto che gli Stati Uniti ne abbiano vietato l’importazione sul proprio territorio dal gennaio 2021 per evitare di sostenere il lavoro forzato. «Condivido le battaglie degli agricoltori della Coldiretti che con gommoni e barche a vela, oggi, nel porto di Bari hanno circondato la nave fantasma carica di grano proveniente dalla Turchia e un’altra nave, che trasportava 40 container di concentrato di pomodoro cinese, è stata bloccata nel porto di Salerno», ha dichiarato Luigi Barone, responsabile Coesione Territoriale e Zes Lega Salvini Premier. «Diciamo stop alle importazioni sleali, allo sfruttamento dei lavoratori cinesi o turchi che viola dignità e diritti umani, al non rispetto delle nostre regole, alla non considerazione totale degli standard europei. Condanniamo tutto ciò che si presenta come falso cibo italiano: non vogliamo grano e pomodori stranieri non certificati. Lo scorso anno l’Italia ha importato oltre 85 milioni di chili di pomodoro trasformato cinese. Numeri che scoraggiano le nostre aziende e i nostri coltivatori che faticano per portare sulle nostre tavole il Made in Italy, assicurandoci qualità e genuinità e che portano il nostro Paese a essere il terzo produttore mondiale di pomodoro da industria con oltre 5 milioni di tonnellate all’anno – ha aggiunto Barone – Difenderò sempre l’Italia e le sue eccellenze. Bene ha fatto il Ministro Lollobrigida che ha promesso di rivedere il criterio dell’ultima trasformazione prevista dal Codice doganale sull’origine dei cibi, cioè quello che permette il furto d’identità dei nostri prodotti made in Italy e fa vendere come italiano un alimento fatto con prodotti provenienti dall’estero».
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