Oggi, alle ore 9,30 e 11,30, in occasione della Settimana della Legalità, appuntamento sul palcoscenico del teatro Genovesi per la piéce dedicata alle scuole di Corradino Pellecchia con interprete Roberto Nisivoccia, unitamente alle voce di Alessia Sorvillo
Di Olga Chieffi
Il sipario dello spettacolo dello spettacolo “L’ ultima sigaretta di Borsellino, scritto da Corradino Pellecchia e affidato a Roberto Nisivoccia e alla voce di Alessia Sorvillo, si leverà, per gli allievi dell’istituto, stamane in doppia replica alle ore 9,30 e 11,30, in occasione della Settimana della Legalità, sul palco del teatro Genovesi, p su quell’istante fuori del tempo, l’istante infinito delle 16,58 del 19 luglio 1992. E’ il momento della morte di Borsellino che Corradino Pellecchia intende scegliendo quale riferimento filosofico Bergson e la sua contrapposizione tra tempo-vissuto, tempo interiore e tempo-spazio. Il tempo si cristallizza: quale autosufficienza dell’istante assume una dimensione sacrale, iniziatica, misterica; è l’atto, la vita stessa nella sua pienezza. La lite, la turbolenza, l’odio originario, il furore umano racchiuso nella deflagrazione, che segna la morte “fisica” di Borsellino, ci apre all’esercizio filosofico, a quel compromesso col sogno, vissuto dal giudice. Il destino di Paolo Borsellino si è compiuto. Una vecchia Fiat 126, imbottita di esplosivo e innescata a distanza, ha cancellato la vita del giudice palermitano e della sua scorta. Sono trascorsi solo 57 giorni dall’uccisione di Giovanni Falcone. L’autore ha immaginato il giudice antimafia che, sospeso in uno spazio atemporale, rivede la sua esistenza. Come fotogrammi di una pellicola, riaffiorano i ricordi con il loro carico di dolore: la moglie Agnese e gli adorati figli, il sodalizio con il fraterno amico Giovanni Falcone e la sua amata Francesca, le vicende di quella stagione indimenticabile del pool antimafia, i veleni dei colleghi, l’accerchiamento della mafia, il silenzio dello Stato. Il testo, frutto di un’accurata e documentata ricerca su articoli di giornale, libri, dichiarazioni e interviste dello stesso Borsellino, ricostruisce una delle pagine più tragiche della storia italiana post bellica, una ferita lacerante che ancora oggi sanguina. La barbara uccisione dei due magistrati è un ricordo vivo, ha inciso nel sangue la parola giustizia e aperto le menti e i cuori sul senso civico del dovere etico, tracciato il cammino della giustizia. Non erano eroi, né volevano esserlo. Erano, semplicemente, uomini, consapevoli dell’esistenza del male e della necessità che quel male andava combattuto ad ogni costo. “E’ bello morire per ciò in cui si crede – scriveva Borsellino – Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. La parola drammaturgica di Pellecchia mette al bando la retorica; è la cronaca vera degli ultimi giorni di un uomo coraggioso alla ricerca della verità e in corsa contro il tempo. Il suo credere nei valori è l’eredità che ci lascia e che fa sì che la sua assenza diventi una presenza rumorosa. “Purtroppo i giudici – avvertiva Borsellino – possono agire solo in parte nella lotta alla mafia. Se la mafia è un’istituzione antistato che attira consensi perché ritenuta più efficiente dello Stato, è compito della scuola rovesciare questo processo perverso, formando giovani alla cultura dello Stato e delle istituzioni”.