di Corradino Pellecchia
Angelo Giuseppe Roncalli (Giovanni XXIII), il pontefice del Concilio e della semplicità, il pastore che voleva una Chiesa “madre di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia, anche verso i figli da lei separati” e Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), il carismatico trascinatore di folle, due papi che hanno segnato non solo la Chiesa ma la storia, domenica 27 aprile verranno canonizzati contemporaneamente, in piazza San Pietro, nel corso di una cerimonia che sarà seguita da milioni di fedeli. Il papa polacco è stato l’undicesimo pontefice (alcuni erano ancora cardinali) a visitare la nostra città. Il primo fu Giovanni VIII nell’876, l’ultimo Pio IX nel 1849. Ricordo in modo indelebile quella giornata, in quanto ero stato scelto – la qual cosa aveva provocato la gelosia degli altri fotografi – per fotografare il Papa nella cripta, quando si sarebbe inginocchiato sulla tomba di San Matteo. La fotografia serviva per la copertina della rivista nazionale della Guardia di Finanza. Il giorno prima avevamo fatto le prove con un maresciallo che si era inginocchiato al posto del papa. mentre io misuravo la luce e studiavo l’angolazione migliore. Sentendo una grande aspettativa e, nel timore di una défaillance, cercai di mettere le mani avanti dicendo che questi aggeggi a volte sono imprevedibili e fanno dei brutti scherzi quanto meno uno se l’aspetta. “Dottò – mi interruppe bruscamente il maresciallo – a costo di vestirmi io da papa, la foto deve venire a tutti i costi!”. L’indomani, mi presentai in cattedrale con l’attrezzatura e il pass, che mi era stato inviato da Roma, appuntato in bella mostra sulla giacca. Ero molto nervoso e continuavo a controllare la mia Canon; fra l’altro mi ero preso la responsabilità di scattare anche qualche foto per Giovanni Liguori, che mi aveva dato una delle sue macchine. All’interno dell’atrio, venni perquisito più volte e la borsa controllata col metal detector. Sembrava fatta, ma all’ultimo momento, proprio quando stava arrivando il papa, un agente della sua scorta mi allontanò, insieme ai funzionari della Soprintendenza che lo stavano aspettando per il taglio del nastro. Grande fu la delusione. Riuscii comunque a realizzare una serie di scatti, mentre Giovanni Paolo II saliva le scale del duomo e dai balconi cadeva una pioggia di petali di fiori. In un secondo momento riuscii ad intrufolarmi, non so come, nel palazzo arcivescovile e lo fotografai all’interno del cortile sulla jeep blindata. “Lei è uno che non si arrende, vero? – era la voce minacciosa dello stesso agente che mi aveva allontanato dal duomo – “Si metta in fila con gli altri. Non vede che sta arrivando il papa!”. Così finì che io che avrei dovuto fotografare il papa, fui fotografato mentre gli baciavo la mano. Il 26 maggio 1985 Giovanni Paolo II, venne a Salerno per una visita pastorale, a conclusione delle celebrazioni del IX centenario della morte di papa Gregorio VII. Il bianco elicottero dell’Aeronautica Militare atterrò sul tappeto verde del glorioso stadio Vestuti, in perfetto orario, alle 16, dopo che in mattinata aveva celebrato la messa della Pentecoste sul sagrato di san Pietro. Ad accoglierlo, c’erano l’arcivescovo metropolita Guerino Grimaldi, il sindaco Vittorio Provenza e una folla entusiasta. Da piazza Casalbore il corteo si mosse per via Pellecchia, percorrendo, fra due ali di folla festante, piazza san Francesco, via dei Principati, via Cilento, corso Garibaldi, via Roma, fino a piazza Cavour. Sua Santità ascoltò il saluto del sindaco, del prefetto Nestore Fasano, di Vincenzo Buonocore, rettore dell’Università, e del ministro per il Mezzogiorno, Salverino De Vito, in rappresentanza del governo. “Vengo soprattutto alla tomba del grande San Gregorio Papa – disse il papa viaggiatore rispondendo ai saluti – per raccoglierne a nome di tutta la Chiesa il messaggio che risuona ancora, dal profondo Medioevo, nella vostra società tecnologica distratta e indifferente ma così bisognosa del Vangelo… Nel periodo del suo soggiorno a Salerno, Egli consacrò la nuova cattedrale, tenne un Concilio e scrisse a tutta la Chiesa una lettera, che fu anche il suo testamento. In essa esortava i lontani, assorbiti dall’amore delle cose terrene, mossi dal vento dell’ambizione, a ravvedersi; e raccomandava ai fedeli di perseverare nella fede fino alla morte , di accogliere Pietro come padre di tutti e la Chiesa romana come madre e maestra… A voi, cari Fratelli di Salerno, io auguro di saperne emulare l’esempio, impegnandovi in ogni vostra scelta ad “amare la giustizia e ad odiare l’iniquità”, per essere nel mondo di oggi costruttori di un avvenire migliore”. Successivamente, il pontefice si recò in cattedrale, cuore della diocesi, consacrata proprio da Gregorio VII nel 1084, per rendere omaggio alla tomba del suo predecessore e per incontrare il clero e i religiosi della diocesi di Salerno, ai quali ricordò che la Chiesa, pellegrina nel mondo, è stata fondata da Cristo per salvare e non per condannare gli uomini, per servirli e non per essere servita. Per l’occasione erano state rimosse in fretta e furia le impalcature del dopo sisma in via Duomo ed erano stati ultimati a tempo di record i lavori strutturali e architettonici della cattedrale, sotto la guida dell’architetto Mario De Cunzo. Don Claudio Raimondi, all’epoca vicerettore del seminario, così ricorda quell’incontro: “Ho avuto la fortuna e il privilegio di accompagnare il papa nella cripta. Nel suo accorato discorso, ci ha esortati a servire la Chiesa gioiosamente rendendola credibile agli occhi del mondo con la nostra testimonianza e a portare il suo amore soprattutto a quanti soffrono, sono emarginati, poveri, deboli, piccoli, dubbiosi. Ci ha invitato ad essere, come san Gregorio VII, intermediari credibili in mezzo a un popolo assetato di Dio e pieno di fiducia in noi; a non allontanare mai nessuno, ma a prendere a cuore i problemi della gente, come se fossero i nostri”. “In quei giorni c’era un gran fermento in cattedrale per i preparativi – gli fa eco il professor Giuseppe Natella – In più occasioni la Digos era venuta a controllare la cattedrale. Con il parroco, don Giovanni Toriello, abbiamo aspettato Giovanni Paolo II davanti alla scala della cripta per fargli dono di una copia de “Il Papa a Salerno” , un numero unico, impreziosito dai disegni del professor Gabriele d’Alma, che abbiamo stampato in occasione della sua venuta”. Nell’edificio della Curia il papa incontrò i religiosi, quindi il corteo riprese il suo cammino ripercorrendo via Duomo prima di immettersi sul Lungomare Trieste. Tutti i balconi e le finestre lungo il tragitto erano addobbati di drappi multicolori. In piazza della Concordia, gremita all’inverosimile, il papa officiò la solenne celebrazione eucaristica. Nell’omelia, si soffermò a lungo sulla figura di Gregorio VII, da lui definito “un gigante del Papato, uno dei più grandi Pontefici, non solo del Medio Evo, ma di tutte le età… femissimo fino alla morte nella difesa della giustizia, intesa non in senso giuridico, bensì come realizzazione del progetto eterno e misericordioso di Dio, che si attua nella Chiesa e mediante la Chiesa, contrapposta all’iniquitas, il peccato, che è la negazione di quel progetto”. “La missione della Chiesa – continuò – non è di ordine politico, economico e sociale, ma esclusivamente religioso. Comunità politica e Chiesa sono indipendenti ed autonome nei rispettivi campi. Essa non pone la sua speranza nei privilegi offerti a lei dall’autorità civile; essa chiede di poter avere sempre e dappertutto e con piena libertà il diritto di predicare la fede, di esercitare la sua missione, di dare il proprio giudizio morale anche su realtà che riguardano l’ordine politico, allorquando lo esigano i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime”. Un discorso forte, interrotto da continui applausi. L’ultimo messaggio lo rivolse ai giovani, invitati ad essere testimoni della vera libertà e della vera giustizia: “A voi appartiene il futuro nella misura in cui saprete sottrarvi ai mille tentacoli del vizio e affermare, di fronte alle spinte massificanti dell’ambiente, la vostra creatività nell’adesione al bene. Il futuro è vostro, ma voi siete di Cristo. Non dimenticatelo ”. Prima dell’inizio dell’offertorio Giovanni Paolo II impose il Sacro Pallio a monsignor Grimaldi, conferendogli così il titolo di arcivescovo metropolita, già imposto anche all’arcivescovo Gaetano Pollio da Paolo VI. Alle 20, dopo una visita breve ma intensa, il papa si accomiatò dalla folla raggiungendo il porto commerciale, dove al molo Manfredi l’attendeva l’elicottero per riportarlo a Roma. Giovanni Paolo II venne tra noi per la seconda volta il 4 settembre 1999 per benedire il nuovo seminario metropolitano, a lui intitolato e fortemente voluto da monsignor Gerardo Pierro, e la Casa del Clero “San Matteo”. “Fate che soprattutto in modo che siano “uomini di Dio” – raccomandò agli educatori – e proprio per questo anche uomini di carità, di povertà, di condivisione, capaci domani di svolgere generosamente il loro ministero tra la gente di questa terra che, come tutto il Mezzogiorno d’Italia, è segnata da antiche e nuove sfide ed ha bisogno come non mai di pastori di integra testimonianza evangelica”. Al termine della cerimonia ci fu anche un fuori programma: il papa si avvicinò al microfono dicendo: “A Salerno sono venuto per la seconda volta. Ma in questa parte della città dove sta il Seminario vengo per la prima volta. Tanti auguri alla vostra Comunità che pensa sempre al futuro, perché il Seminario, i seminaristi ci parlano del futuro, del terzo Millennio. Tanti auguri per il terzo Millennio della vostra diocesi. Sia lodato Gesù Cristo! Arrivederci!” Il 5 novembre 2005 monsignor Gerardo Pierro rese nota una guarigione inspiegabile di un giovane salernitano, affetto da un tumore con metastasi diffuse in tutto il corpo, attribuibile all’intercessione di Giovanni Paolo II. La moglie aveva visto in sogno il papa, al quale si era rivolto nelle sue preghiere, e all’indomani, al risveglio, aveva trovato il marito guarito, fra lo stupore e la sorpresa dei medici. Il Papa che fece cadere regimi e parlò alla gente passò da questo mondo al Padre il 2 aprile dell’anno del Signore 2005, alle 21,37 della sera. La sua memoria rimane nel cuore della Chiesa e dell’intera umanità.