di Alfredo De Falco
Continua la nostra carrellata degli artisti salernitani in forza al Festival di Sanremo. Da ieri sera si udrà lo squillo chiaro e pulito della tromba di Sergio Vitale, un altro dei nomi prestigiosi della tradizione di fiati del Conservatorio di Salerno, il quale lavora da anni con prestigiose orchestre in ambiti jazz, pop e classico collaborando con eccellenze musicali quali Bacalov, Morricone e tanti altri e con artisti internazionali quali Michael Bublè o Tom Jones, come prima tromba solista di artisti del calibro di Laura Pausini, Lucio Dalla, Katia Ricciarelli, Renato Zero, Gino Paoli, Ornella Vanoni, Gloria Gaynor, Gigi D’Alessio e Riccardo Cocciante. Musicista dotato di grande tecnica e particolarmente versatile, Vitale è spesso alla testa della sezione trombe delle Big Band italiane: dalla Iodice & Corvini a quella di Demo Morselli, da Dino e Franco Piana a quelle di Gianni Ferrio e Renato Serio. Lo abbiamo intercettato tra le lunghissime sezioni di prove alla vigilia del Festival della Canzone Italiana. E’ un veterano dell’Ariston. A quanti Sanremo ha partecipato? Ci sono differenze in ambito musicale e organizzativo? Ho iniziato nel 2007 e questo è la mia personale XII edizione. Ho riscontrato molte differenze in relazione ai diversi musicisti e presentatori che si sono succeduti ogni volta. Inoltre, il festival danno dopo anno, propone canzoni adeguate ai tempi che corrono, così al classico e al cantautorato si sono introdotti, a poco a poco, hip hop, rap e i nuovi generi musicali. Come è vista oggi la figura dell’orchestrale a Sanremo? Ho sempre notato molto rispetto da parte dell’opinione pubblica e degli artisti, che sono sempre contenti di esibirsi con vere orchestre, oltre le alchimie create dai mezzi moderni. Noi siamo parte fondamentale del festival perché la maggioranza della musica prodotta è fatta dagli esseri umani, creando quel reale pathos, che è poi l’essenza della musica. Quanto tempo assorbe la preparazione del festival? Da quanto sta provando? Abbiamo iniziato il 30 dicembre. Le prime due settimane abbiamo lavorato a Roma con qualche pausa per le festività natalizie. Dall’11 gennaio qualche altro giorno di pausa per dare la possibilità di spostarci a Sanremo. Il 16 abbiamo provato il soundcheck. Successivamente abbiamo riprovato i brani con gli artisti, i quali hanno a disposizione 50 minuti ciascuno. Ha mai eseguito un repertorio di musica classica? Cosa cambia col suonare il repertorio pop della canzone italiana? Certo. Anche qui al festival, dove serve un’esperienza a 360 gradi. Nelle scorse edizioni mi è capitato di suonare il preludio di Aida, die Walkürenritt. Le differenze fra un genere e l’altro sono relative ai direttori, il nostro compito è quello di essere preparati a tutto. La difficoltà di prassi è soggettiva. Si è mai sentito in difficoltà per una determinata melodia affidata alla tromba nell’arrangiamento di una canzone? Alle volte mi è capitato davanti qualcosa di poco strumentistico. Oggi la produzione musicale è supportata da software e la conoscenza reale degli strumenti, talvolta sembra sostituita dal calcolo degli algoritmi dei programmi. Questo è un problema che accade e che viene affrontato durante le prove. Il rapporto coi colleghi è esclusivamente professionale o discutete anche della gara facendo il tifo per qualcuno? È tendenzialmente professionale, ma si discute anche della gara. È un confronto pacato, arricchito dalla nostra stessa diversità. L’orchestra è un gruppo di persone con età diverse e ognuno ha fatto il proprio percorso di studio. Da questo derivano gusti diversi e ogni tanto ne parliamo fra di noi. Chiederebbe qualcosa in particolare all’organizzazione del festival o si trova già pienamente a suo agio? C’è sempre qualcosa da migliorare, ma non possiamo lamentarci. Premesso che alcuni vengono scelti dall’orchestra sinfonica e altri sono musicisti assoldati direttamente dalla Rai, ognuno ha un tipo di trattamento diverso. Io, che sono ingaggiato dalla Rai, mi sento ben tutelato. A chiunque la prenda come esempio, cosa consiglia per riuscire a entrare nell’ambito orchestrale della musica pop italiana? Bisogna avere passione per quello che si fa e continuare a crederci. È retorico, ma solo chi resiste riesce ad arrivare a raggiungere degli scopi. Bisogna conoscere bene il proprio talento e capire dove indirizzarlo. Io ho sempre voluto fare il musicista e, per esempio, non mi sono mai diretto verso l’insegnamento. Ancora oggi proseguo per la mia strada senza fermarmi.