di Peppe Rinaldi
In principio fu la canna fumaria di un’azienda alimentare situata sotto casa di una coppia che ha adottato due bambini stranieri. Inizia il litigio condominiale, uno come tanti, si finisce a carte bollate, partono le verifiche del comune, la fabbrichetta è abusiva, si arriva in tribunale, cominciano le rappresaglie, fioccano minacce e avvertimenti di alterna natura. Un bel giorno si presentano alla porta due operatrici dei servizi sociali con un atto della procura minorile secondo cui c’era da fare un approfondimento. La slavina inizia a farsi valanga, di lì a poco scatterà un ricorso per la limitazione della potestà genitoriale sulla base delle relazioni delle operatrici, all’interno delle quali si parlava di violenze e abusi in danno dei piccoli, uno dei quali aveva di per sé difficoltà legate al suo breve vissuto infantile prima dell’adozione, un caso di scuola insomma. Per l’altro bambino nulla quaestio, segno che il punto di rottura non era la famiglia. Il procedimento sarà archiviato dal magistrato perché si scoprirà che le due operatrici erano intervenute sulla base di…una telefonata anonima. Che non allungò la vita di nessuno ma terremotò quella di almeno quattro persone che, ancora oggi, faticano a trovare una bussola. Ma ormai il dado era tratto, impossibile sospendere il guado, la macchina burocratico-giudiziaria era partita, il viaggio sarà una discesa agli inferi. Mancò un Virgilio a consolare e a far da guida, a quanto s’è potuto capire la coppia sconta la più grave delle colpe, quella di non essere assistita adeguatamente sul piano legale, dettaglio decisivo per una lettura seria di tutta la storia.
Questa è la sintesi delle due puntate precedenti, ora arriviamo alla parte finale, la più dolorosa.
- INDAGINI RIBALTATE
I coniugi, imbufaliti dalle relazioni creative delle operatrici, decisero di sporgere querela in procura a Nocera. Mal gliene incolse, le indagini subirono una sorta di dirottamento, finirono cioè loro al centro dell’interesse e non le persone denunciate: la qual cosa, sia chiaro, è frequente, nel senso che gli operatori del settore devono sincerarsi anche della buona fede di chi denuncia. Nel nostro caso emerse che ci trovavamo dinanzi a una coppia «litigiosa sotto il profilo penale e amministrativo». Litigiosa? Può essere, il punto però sarebbe un altro: ciò che denunciarono, dalla canna fumaria molesta alle assistenti sociali fantasiose, era vero o no? Il Moloch giudiziario spesso è così, ti schiaccia e se ne frega, il problema è sempre a chi lasciare il cerino in mano. La loro querela sarà archiviata e quando la coppia si opporrà rivolgendosi al Gip, in soli sette giorni e in piene festività natalizie l’opposizione sarà rigettata. Mentre per loro dovranno passare circa tre anni per accedere agli atti degli uffici dei Servizi sociali al fine di ricostruire tutto e solo quando si rivolgeranno al Difensore civico regionale le carte salteranno fuori.
Intanto i problemi della figlia assumono tratti preoccupanti: giovanissima, tra l’altro anche di bell’aspetto con tutto ciò che questo può significare nella vita di un soggetto fragilissimo, la ragazza si scontra duramente con la famiglia, inizia a frequentare cattive compagnie esponendo se stessa a rischi facilmente immaginabili, a scuola sarà un problema ovunque andrà, manifesterà perfino un tratto violento. A questo punto sarà necessario l’intervento di specialisti che le diagnosticheranno disturbi comportamentali consigliando una comunità specializzata. Così avvenne. Dal febbraio rientrerà in famiglia nel successivo giugno (2021) ma le cose precipiteranno ulteriormente. Fughe da casa, impermeabilità ad ogni tentativo educativo, tutto aggravato da un uso malato del cellulare, soprattutto dei social, dove un giorno i genitori scopriranno foto eloquenti – e indicibili – della loro figlia durante l’affidamento in un centro.
Dinanzi a una situazione tanto disperata non c’era altra scelta: attivare le procedure legali per affidarla ad una comunità per minori, una delle tante che formano la costellazione (e, spesso, il business) della solidarietà. La ragazzina ci starà per qualche mese, poi tornerà a casa e il calvario ricomincerà.
- LA MINACCIA CON LE FORBICI
Arrivati al febbraio 2022, la coppia si rivolge al pm minorile e il nucleo familiare viene affidato con urgenza ai servizi sociali di Cava de’ Tirreni (dove i coniugi si erano trasferiti), che tuttavia, constatata la marcata indifferenza della ragazza a qualsiasi iniziativa, cominciano a latitare adducendo i sempreverdi problemi di risorse, fondi, strutture. Durante questo periodo i problemi continuano ad acuirsi, la ragazza rifiuta qualunque tipo di aiuto, è refrattaria a ogni raccomandazione. A maggio salta tutto in aria: ancora litigi, atteggiamenti violenti contro i genitori, la ragazzina afferra un paio di forbici e minaccia la madre. Poi scappa e sparisce per tre giorni. C’è una sola strada ormai, la più difficile: rivolgersi alla giustizia, per salvarla come capita tante volte a genitori che fanno arrestare figli schiavi della droga o dell’alcol o di altro. Lo prevede la legge che ha tipizzato la fattispecie rubricandola come “Irregolarità della condotta del minore” (art. 25 Rdl 1404/34). Il pm ratifica il collocamento della minore in una comunità alloggio. Dove si aprirà un altro capitolo della surreale vicenda. Un mese dopo parte il procedimento, la coppia arriva in tribunale e subito percepisce un contesto ostile, forse determinato dalla fama di “litigiosità” che l’avrebbe preceduta. Non a caso, tra altre, si narra di una frase pronunciata al loro cospetto e ad alta voce: «Sappiate che il tribunale non è il badante di nessuno». Complimenti.
Sistemata la ragazzina in una comunità, le cose non migliorano perché ormai non si capisce più chi o cosa sia da correggere, aiutare, comprendere: da un lato c’è una minore con problemi psichici e tremendo disagio esistenziale, dall’altro un muro di gomma istituzionale che sul presupposto di delazioni, relazioni e chiacchiere da cortile individua nei genitori il cuore di tutto (ma come mai con l’altro figlio va tutto bene?). La cultura e la formazione del personale di questo genere di strutture faranno il resto: i responsabili infatti aspirano a “autonomizzare” la ragazzina (cioè?) attraverso specifiche richieste al giudice, tecnica/terapia che rivelerà forti limiti perché la giovane moltiplicherà la tendenza all’anarchia invece che responsabilizzarsi come, al contrario, dovrebbe essere, senza troppi psicologismi o sociologismi da supermarket del progresso. I genitori non sono soddisfatti del centro e chiedono ai giudici che venga collocata altrove. Inizia anche stavolta un braccio di ferro perché secondo i servizi sociali la giovane stava migliorando, anche a scuola (circostanza rivelatasi poi falsa) e se non fosse per questi maledetti genitori che si immischiano troppo nelle faccende della figlia tutto andrebbe a posto. Altro che. Pure il tribunale si mette di traverso ma alla fine dovrà ordinare il trasferimento, stavolta in un’area montana della provincia, e non senza alcuni preoccupanti caveat: non mettete in discussione la qualità del lavoro degli assistenti sociali e neppure della comunità, se no la prossima volta avvieremo un altro ricorso per la limitazione della potestà genitoriale. Tutto molto chiaro.
- NUOVO TRASFERIMENTO IN COMUNITA’
A marzo 2023 c’è finalmente il passaggio in un altro centro, la ragazzina viene più volte convocata da sola per audizioni, verbalizzate poi sommariamente, in cui aggiunge considerazioni sulla capacità genitoriale e persino sulle qualità dei genitori. Tutto senza che sia mai stata concessa un’audizione a madre e padre nonostante numerose istanze. Il magistrato ha perfino nominato una curatrice per la ragazzina e qui andiamo sul clamoroso: infatti la curatrice decide, in accordo con la comunità, di accompagnare la minore da un ginecologo per la prescrizione di anticoncezionali, a loro dire necessari perché impossibilitati a controllare la sua rischiosa attività sessuale. Capito? Prendono una minorenne e la portano dal ginecologo per farle dare la pillola senza una previa visita medica e senza informare i genitori, come se fossero aspirine. Perché? Perché, essendo libera di fare quel che le pare nonostante sia in comunità, vada pure con tutti gli uomini che crede, l’importante è che non si presenti qui da noi con la famosa pancia davanti, per dirla in elegante francese. La stessa curatrice depositerà una richiesta di decadenza della responsabilità genitoriale indicando proprio nei genitori la causa del disagio.
Alla fine la stessa comunità, sulla carta una struttura specializzata, si è ridotta a chiedere al giudice un ulteriore trasferimento della minore a causa delle sue gravi devianze, dichiarando altresì di non poterne più controllare la condotta (basti pensare che la giovane si è fatta fare un piercing gengivale senza alcun controllo), lamentandosi delle sue uscite notturne e di comportamenti moralmente discutibili che mettevano a rischio il buon nome della comunità. Tutto esilarante se non fosse tragico.
Arriviamo quindi al luglio di quest’anno quando il giudice, scocciato forse di doversi occupare ancora di questa famiglia, decide di archiviare il procedimento condannando i genitori alle spese (fatto unico più che raro) accusandoli al tempo stesso di sfiduciare le istituzioni con l’abuso dello strumento giudiziario, decretando per questa ragione l’inutilità di riaffidare la ragazza ai servizi sociali o ad un’altra comunità, però obbligando di fatto la famiglia a riprendere la figlia in casa, pena un nuovo inferno giudiziario.
Oggi la ragazzina non è né a casa né in comunità: si troverebbe presso l’abitazione di un suo “fidanzato”, peraltro maggiorenne, al quale nessuna autorità ha ancora chiesto alcunché.
E pensare che siamo partiti da una canna fumaria. (3_Fine)