di Nicola Russomando
Da otto anni a questa parte i festeggiamenti per la solennità di S. Matteo sono scanditi anche dalle “giornate matteane”, che intendono proporre una maggiore conoscenza del testo del primo vangelo attraverso il contributo di biblisti senza trascurare l’attualità del dibattito ecclesiale. In tema di attualità, quest’anno, alla prima serata del triduo, non si poteva che partire dalla questione al centro delle dinamiche ecclesiali – almeno nella visione di papa Francesco – da quella sinodalità che è diventata una specie di “mantra” del lessico cattolico. D. Vito Mignozzi, preside della Facoltà teologica pugliese e membro del sinodo, ha tenuto una relazione dal titolo “Il volto della Chiesa sinodale: per una Chiesa in ascolto di tutti”, argomento che traduce gli intendimenti alla base del sinodo sulla sinodalità, la cui seconda assise inizierà in Roma il prossimo ottobre. Che il termine sinodo sia di uso molto antico nella Chiesa è testimoniato dal fatto che il latino “concilium” si trova sovrapposto al greco “synodos”, etimologicamente “strada in comune”. E non è neppure un caso che i documenti del Concilio Vaticano II siano stati siglati sotto il titolo di “Sancta Synodus”. Paolo VI poi ha dato a questo termine una nuova valenza creando nel 1965 il Sinodo dei Vescovi, organismo di natura consultiva, esterno alla Curia romana, composto da vescovi eletti per una parte dalle conferenze episcopali, per una parte di nomina papale, che avrebbe coadiuvato il Romano Pontefice nel governo della Chiesa e su questioni da lui proposte a cadenza quinquennale. Tuttavia, nell’orizzonte ecclesiologico di Francesco la sinodalità dovrebbe costituire la forma permanente dell’essere Chiesa, in un insieme di “relazioni multidirezionali”, come le ha definite Mignozzi, tali da integrare la dimensione gerarchica della Chiesa cattolica in un modello che non è improprio ricercare nel sistema della partecipazione democratica. In realtà, consapevoli del fatto che la democrazia è categoria esogena alla costituzione gerarchica della Chiesa, il relatore ha richiamato la “docilità allo Spirito” come lo strumento attraverso il quale si instaura il processo sinodale nella Chiesa cattolica. Un chiaro riferimento alla dimensione pneumatica del mistero di quel corpo sui generis che è la Chiesa e che, nelle intenzioni di papa Francesco, dovrebbe spingersi fino al punto di un documento finale del sinodo non suffragato neppure da votazione. Chiaro appello ad un unanimismo riportato alla voce dello Spirito che intende così livellare ogni posizione contraria. A sostegno della tesi vi sarebbe la circostanza di una consultazione dal basso che ha coinvolto ogni componente del “popolo di Dio”, laici in primo luogo, che sono anche, per la prima volta, membri di diritto dell’assise. A parte che questa consultazione è stata gestita mediante formulari predisposti dalle conferenze episcopali e indirizzata a settori selezionati, l’idea stessa di micro-parlamenti parrocchiali e/o diocesani evoca quelle comunità di base degli anni Settanta sorte da letture strumentali del Vaticano II. Altra cosa è invece la sinodalità praticata dalle Chiese d’Oriente, sia ortodosse che cattoliche. Nella prassi orientale la sinodalità è innanzitutto una forma di governo collegiale, che trova il suo sigillo definitivo nella ricezione di quanto deciso da parte del corpo ecclesiale. L’esarca cattolico di Grecia Manuel Nin ha chiaramente messo in guardia dai facili fraintendimenti legati all’abuso della sinodalità. Analizzando l’etimo sinodo e la sua preposizione sociativa componente “syn”, l’esarca ha rimarcato il “cammino con” che ogni battezzato può fare solo con Cristo. Non un “cammino insieme” in termini assembleari, ma un “cammino con” Cristo, che è la strada da sempre battuta dalla Chiesa in vista della definitiva affermazione del Regno dei cieli, tensione così presente nel vangelo di Matteo. Se, invece, l’immagine di una “Chiesa in ascolto di tutti” è la cifra della sinodalità che si intende proporre, questa rischia di scadere a strumento per legittimare quelle istanze così presenti nella società sotto le più diverse rivendicazioni. Mignozzi ha richiamato nella sua relazione il processo sinodale come un cammino per tappe progressive la cui meta resta però vaga. Nin, forte della sua formazione orientale, ritrova nell’esperienza monastica la chiave autentica della sinodalità, “guidati dal Vangelo, con l’insegnamento dell’abate e degli anziani spirituali, camminare tutti i fratelli con Cristo alla ricerca di Dio”. Una lezione che viene dall’Oriente “sinodale” e che non deve sorprendere quanti sono alla ricerca di novità, se già l’orizzonte monastico del VI secolo vedeva nel Vangelo la fonte perenne di cose nuove e antiche, “nova et vetera”, la cui scoperta è mediata dalla sapienza di un abate, ma lasciata sempre alla ricezione del singolo nel suo personale cammino con Cristo.