Questa sera, alle ore 21, i riflettori della Sala Pasolini illumineranno Renato Carpentieri e Stefano Jotti, interpreti del capolavoro di Sandor Màrai
Di OLGA CHIEFFI
“A gyertyák csonkig égnekche” “Le candele si consumano lentamente”, questa la traduzione letterale de’ “Le braci”, capolavoro di Sandor Márai, in cui lo scrittore affronta temi delicati e sempre attuali, che ruotano attorno ai valori dell’amicizia appena incrinata da una differenza di ceto sociale, all’amore per una stessa donna, il tutto immerso in un periodo storico, quello della finis Austriae, che sembra fatto apposta per fare da sfondo a una narrativa giocata sul rimpianto del tempo passato e sulla resa dei conti di vicende sentimentalmente ingarbugliate. Il fuoco della passione si spegne lentamente e diventa brace, una brace che allo stesso tempo può significare l’affievolimento delle antiche emozioni ma anche una pericolosa miccia che può innescare nuovamente le rivalità, come se ne perpetuassero la memoria. Il libro di Màrai è un libro sulla memoria. La memoria del fuoco di una passione che si è spenta trasformandosi in tiepide braci. Il calore di una passione che avvelena il sangue e acceca la mente, il sovrumano piacere di una rivincita attesa a lungo. La memoria come senso di sopravvivenza a se stessi e al mondo, che perde la memoria giorno per giorno e si affida inutilmente agli uomini per recuperarla. Sarà proprio il testo di Sandor Marai, nell’ adattamento di Fulvio Calise, per la regia di Laura Angiulli, presentato da Teatro Coop. Produzioni/Galleria Toledo. affidato a Renato Carpentieri e Stefano Jotti, a rivivere, questa sera, alle ore 21, sul palcoscenico del Teatro Pasolini di Salerno. Henrik e Konrad sono amici – di quelle amicizie che forse solo nei libri si riesce a trovare – e amano la stessa donna, Krisztina, che è moglie di Henrik. Opposti sentimenti, il tradimento, il desiderio, la tentazione dell’omicidio. Poi Konrad sceglie la fuga e i due amici/rivali si ritrovano a 41 anni di distanza. Il fuoco della passione è diventato brace, alimentata dall’alito dei ricordi di Henrik, che l’hanno tenuta viva con una cura e un’attenzione maniacali. Il tempo trascorso ha cambiato il mondo; i volti, i suoni, gli odori che hanno fatto da sfondo alla gioventù dei protagonisti non esistono più. Krisztina è morta. Henrik e Konrad sono superstiti di un’epoca ormai scomparsa: la Vienna splendida di fine impero, la Vienna di Francesco Giuseppe, degli Strauss, di Klimt. La grande cultura mitteleuropea, sepolta sotto le ceneri delle Grande Guerra. E si accorgono alle soglie di un nuovo sanguinoso conflitto con un senso di smarrimento e distacco che li rende inadatti, a tratti patetici e a tratti malinconici, ostinatamente abbarbicati ad una dignità che non hanno più ragione d’essere. Ha senso mantenere accese per tanti anni le braci delle passioni umane? Che valgono gli amori e i tradimenti di singoli uomini a fronte delle grandi tragedie dell’umanità intera? L’incontro/scontro tra Konrad e Heinrik si tramuta in un lungo monologo di quest’ultimo. Ci sono domande alle quali non è ancora riuscito a rispondere. Sono le domande che porrà a Konrad, l’unico che può scoprire l’ultimo velo. Poi, il tempo proseguirà per la sua strada, abbandonando i protagonisti alla loro solitudine. Al silenzio della morte. Sandor Marai, nella sua opera, non lascia niente ai luoghi comuni o all’immaginazione, tutto è detto minuziosamente in progressivi e incalzanti monologhi dei protagonisti. Non c’è spazio per l’amore in queste pagine; eppure l’amore è l’incontrastato dominatore dei sentimenti che, come linfa invisibile, alimenta passioni e solitudini esistenziali dell’ostinato e orgoglioso Generale e dell’amico traditore, in fuga dalle situazioni galeotte, dalla verità e da se stesso. Uno scontro tra due modi di intendere la vita che riflettono il contrasto tra il vecchio mondo aristocratico del Generale e l’incalzante mondo borghese che reclama la sua superiorità culturale.