In questo week-end, questa sera alle ore 21 e domani alle ore 19, lo spettacolo ideato da Igor Canto e Cristina Recupito sarà ospite del neonato spazio del Piccolo Teatro Porta Catena
Di OLGA CHIEFFI
Fra tutti i libri del Nuovo Testamento che Dostoevskij rileggeva continuamente, il più fittamente coperto di note è il Vangelo secondo Giovanni. Se ne contano almeno cinquantotto, contro le dodici del Vangelo di Matteo, le sette di Luca, e le due di Marco. Nell’Apocalisse si contano sedici sottolineature. Non si può non vedere la chiara corrispondenza fra l’orientamento cristologico del Vangelo di Giovanni, la devozione per la figura e la persona di Cristo che Dostoevskij nutrì per tutta la vita, e il significativo numero di note al testo evangelico. Tanto più significativo, in quanto la figura di Cristo non rappresentò per Dostoevskij una figura scontata, statica, immutata. Negli anni ’40, sotto l’influsso dell'”umanizzazione neocristiana” e “scientifico-antropologica” di Cristo tipica dell’utopismo, Dostoevskij cominciò a chiamarlo “ideale dell’uomo”, “ideale dell’umanità”. Dopo il “mutamento di convinzioni” nella “casa di morti” in Siberia, e il complesso, travagliato ritorno alla fede, la figura di Cristo diventò per Dostoevskij il principio sostanziale e determinante del suo pensiero, sia intellettuale che estetico e spirituale. Dostoevskij definì più volte Cristo come la “verifica” di ogni affermazione, soprattutto nella sfera etico-morale, ma questo tuttavia non gli consentiva di dare per scontata la fede in Cristo-Figlio di Dio, consustanziale al Padre. La famosa lettera a Natal’ja Fonvizina venne scritta nel 1854, prima del “mutamento di convinzioni”, ma esprime in modo completo e preciso i pensieri che in varia forma vennero ripetuti da Dostoevskij fino alla fine della vita. Questa lotta interiore di Dostoevskij trova la sua espressione più significativa in una frase paradossale: “…e se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità, e se effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei piuttosto restare con Cristo che con la verità”. Per verità qui si intendono gli “argomenti avversi” scientifico-naturali. Le parole di Dostoevskij risultano provocatorie alla ragione, ma testimoniano la sua “conoscenza del cuore”, nel senso in cui i testi patristici parlano del cuore come fonte della conoscenza e dell’unione con Dio; esse trovano una solenne conferma nelle parole di Cristo: “Io sono la verità, la via e la vita”, sottolineate da Dostoevskij. Quest’ansia di redenzione, che si fonda esclusivamente su Cristo come unica speranza per l’uomo di acquisire la vera vita, è paragonabile a una luce la cui fonte resti celata, ma che illumina e trasfigura una vetrata buia. Da qui nasce lo spettacolo Ecce homo ideato da TeatrAzione di Cristina Recupito e Igor Canto, con musiche originali dal vivo di Roberto Marino, video fotografico di Francesco Truono, collaborazione tecnica di Alfio Giannotti, ospite della stagione del Piccolo Teatro Porta Catena, stasera alle ore 21 e domani alle ore 19. Ecce Homo è la frase che, nel Vangelo secondo Giovanni (19,5), il procuratore romano della Giudea Ponzio Pilato pronuncia ai Giudei, mostrando loro Gesù flagellato, per calmare la loro sete di rabbia e di vendetta, nei confronti del figlio di Dio. Ecce Homo diventa frase chiave, ricerca, esplorazione, trasfigurazione di esseri umani che per fame, etnia, credo religioso, idee politiche, fuggono dalle loro terre d’origine nella speranza di una vita migliore e che si scontrano con altri esseri umani che, per paura, ignoranza ed egoismo, cercano di spegnere questa scintilla di vita.