
Olga Chieffi
Evocazioni, solitudini, sberleffi surreali espressività, forme e dialetti ancestrali che scavavano dentro scarnificando i personaggi è questa, oltre, ogni facile sorriso, la pièce “Vico Sirene”, firmata da Fortunato Calvino, datata 2009, dedicata all’ultimo femminiello La Tarantina, ancora anima dei quartieri spagnoli, e presentata in questo week-end da Gigi e Ross, protagonisti, nei panni di Scarola e Nucchetella. Una tranche de vie in cui l’attenzione si è concentrata su quelle profonde contraddizioni delle degradate realtà napoletane. Lo scrittore esprime, così, i suoi sentimenti, in nome di una verità oggettiva che si presume derivare direttamente dalle cose. I greci, ritenevano divino l’ermafrodito, perché figlio della bellezza (Afrodite) e della forza (Ermes). Col tempo la purezza ideale dell’ermafrodito alchemico si è smarrita, sostituita dalla più materiale ambiguità del femminiello verso il quale, già dai primi del Novecento, una buona parte della letteratura piccolo-borghese partenopea non mancò di usare espressioni di profonda condanna morale: “Le nostre femminelle di giorno si occupano di faccende domestiche, e poi, in ora stabilita si mettono alla finestra ed aspettano i loro… mariti. Parecchi di questi depravati, per rendersi più attraenti, si truccano gli occhi; altri si fanno, come le prostitute, tatuare sul viso qualche neo di bellezza e molti, mediante ovatta, cercano di rendersi più formose le parti posteriori e più sporgente il petto. Qualcuno si femminizza anche nel nome” scrive Abele de Blasio “Nel paese della camorra”. La mutazione prese corpo gradualmente, cosicché il ruolo occupato tradizionalmente dal femminiello venne a modificarsi lasciando il posto al travestito. ll passaggio da una figura centrale come il femminiello a una condizione di marginalità e solitudine riflette profondamente i cambiamenti sociali e culturali che hanno caratterizzato le metropoli contemporanee. In un contesto urbano sempre più cosmopolita e caratterizzato da identità molteplici, il femminiello, simbolo di una socialità calda e accogliente, ha visto ridursi il suo ruolo di aggregazione. Questa trasformazione può essere vista come un processo di perdita di comunità, dove le dinamiche relazionali che un tempo favorivano l’incontro e la condivisione sono state sostituite da una maggiore individualizzazione. La figura del travestito, che un tempo trovava nel vicolo un luogo di appartenenza e riconoscimento, ora si confronta con una realtà di maggiore isolamento, dove la diversità viene spesso percepita con sospetto e allontanamento. In questo senso, la solitudine del travestito non è solo una condizione personale, ma un riflesso delle tensioni sociali più ampie, in cui la ricerca di identità e accettazione si scontra con le rigidità delle norme culturali e delle aspettative sociali. La cultura metropolitana, pur offrendo spazi di espressione e libertà, può anche generare un senso di estraneità per chi non riesce a trovare il proprio posto in un panorama in continua evoluzione. Pertanto, comprendere questi cambiamenti richiede non solo un’analisi estetica, ma anche una riflessione profonda sulle dinamiche sociali e culturali che influenzano la vita quotidiana delle persone e le loro interazioni. “Io so questo: che i napoletani sono oggi una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso di estinguersi rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. […] Questo rifiuto è sacrosanto” scriveva Pier Paolo Pasolini in “La napoletanità”. Ed è proprio a Pasolini che Fortunato Calvino ha pensato per il racconto dello strazio di Susy interpretata da un eccellente Mattia Ferraro. Susy sulla spiaggia di Cuma, Pier Paolo sul lido di Ostia quel due novembre del 1975, efferato omicidio, cranio spaccato, più di un uomo a colpire, per quindi finirli passando con l’auto sui corpi martoriati. Se all’inizio della pièce si ride con l’iniziazione ad un mondo di persone che non si sentono né uomo, né donna ma entrambi, in modo dualistico, che strizzano l’occhio a tante culture, ma è il luogo che fa il femminiello. Infatti, dopo la scomparsa di Susy, ecco comparire in casa di Scarola e Nucchetella, la diva, Mina, un eccellente Marco Palmieri, tempi comici straordinari, forse qualche scoppio di riso di troppo, e ancora Ciro Esposito, che ricordiamo scugnizzo ‘nzist in Io speriamo che me la cavo, al fianco di Paolo Villaggio, nei panni di Coca Cola e la pescivendola, Luigi Credendino, l’ “unica” sposata, che è riuscita a fare il salto di classe, che ha sì, lasciato il Vico Sirene ma torna per la tombolata e per la terribile vendetta che trasforma i femminielli in erinni. Su tutto i numeri, che usciranno dal panaro, una sedia lasciata vuota per Susy, poiché noi gente del Sud abbiamo un rapporto particolare con l’aldilà , in un dualismo essenziale tra il sotto e il sopra una fusione affascinante di religiosità popolare il profondo legame tra i vivi e i morti: le fosse comuni, spesso dimenticate, diventano da noi punti di connessione tra il mondo terreno e quello spirituale, come per le anime pezzentelle, alleanza tra i vivi e i morti che suggerisce un modo di affrontare la perdita e il lutto, rendendo omaggio a chi è passato e trovando conforto nell’idea che le loro anime possano ancora avere un ruolo nelle vicende terrene. Per questo, il progetto di una cappella in marmo bianco simbolo di purezza e speranza, un luogo in cui i femminielli possano ritrovarsi anche nell’aldilà, devolvere i guadagni della prostituzione per la costruzione della cappellina, per costruire qualcosa di bello e significativo, anche in mezzo a una vita segnata da violenza e rischio. Intensa prova attoriale di Gigi e Ross, in quella lingua che è la più musicale del mondo, quasi a comporre un incredibile oratorio finale con punto e contropunto nella scena finale, tragi-comica e grandissima comunicativa e generosità anche nell’incontro con gli studenti del liceo scientifico Severi, chiamati ad interloquire con attori e regista, per quindi assistere e scrivere dello spettacolo, da novelli critici. Applausi per tutti, per l’intero cast e il partecipativo pubblico.