Una vita d’un fiato, fino all’ultimo respiro. I polmoni a mantice non erano l’unica qualità di quel giovanotto ben messo,dalle spalle di ferro e dotato di invidiabile tecnica che guizzava in piscina. Grande promessa della Rari Nantes Salerno, pallanuotista di prospettiva e titolare della nazionale preolimpica prima di Roma 1960. In acqua gli avversari non lo prendevano e paradossalmente sfuggiva anche ai compagni.
“E che è? ‘na seccia?”. Già. Nuotava come una seppia. Era la fine degli anni Cinquanta e stava nascendo il mito di Peppe ‘a seccia.
Si è scritta dolorosamente ieri pomeriggio la parola fine su un pezzo di storia dello sport e della ristorazione salernitana. Giuseppe Avallone, per tutti Peppe ‘a seccia, avrà fatto il suo ennesimo sorriso anche alla morte. Ha combattuto a modo suo contro il male al quale ha dovuto arrendersi. Aveva da poco compiuto settantotto anni, portati con la stessa simpatica spavalderia di quando faceva vincere la Rari Nantes, o dirigeva un ristorante o presiedeva – davvero a modo suo! – la sua squadra di calcio dilettante.
Il giovane e promettente atleta, predestinato fuoriclasse della pallanuoto, si trovò all’improvviso in un budello oscuro. Il destino gli disegnò una parabola terribile, l’involontario errore dietro l’angolo e dieci anni da cancellare. Cose che capitano anche nelle buone famiglie e quella degli Avallone era sì una buona e conosciutissima famiglia della Salerno dell’anteguerra. Don Vincenzo aveva più figli che ristoranti, Peppe era appena il sesto di una quindicina. Uno, Guido, morì tragicamente nel 1945, ucciso da militari polacchi che avevano alzato il gomito, durante la liberazione angolamericana. La ristorazione è sempre stata l’attività della famiglia Avallone. Don Vincenzo aveva il ristorante la “Cascatella” in via Velia e ne gestiva un altro allo stabilimento balneare Secondo Elisa, giù al porto, roba di una Salerno d’altri tempi che fa venire i lucciconi a quanti hanno qualche anno in più e buona memoria.
Con i fratelli già impegnati nell’attività, Peppe decise di sganciarsi dall’accorsatissimo ristorante “Il Caminetto” e nacque così “La Lampara”, sul Lungomare Colombo per una vita prima del trasferimento nel Centro Storico. In quegli anni, dire “Lampara” non significava solo spaghetti con le vongole o misto di pesci alla brace. Voleva dire anche calcio. Peppe volle fortemente tuffarsi nel mondo del pallone. Innamorato del compianto fuoriclasse del Torino Gigi Meroni, per un anno tenne in vita la “Meroni Caminetto”, campionato Csi (Centro Sportivo Italiano), ma già fondamentale esperienza per gli anni della Lampara. In quella squadra con giovani di belle speranze si esibirono anche calciatori di livello sul finire della carriera, come Nando Di Francesco e Salvatore Capone, fratello di Antonio, il migliore calciatore salernitano di tutti i tempi. Dopo un abbinamento sportivo-commerciale con la Cassa Rurale, anche per la Lampara iniziò il triste cammino sul viale del tramonto. Tra le soddisfazioni del presidente Avallone rimase come una pietra miliare il nullaosta per giocare al Vestuti, unico club dilettentatistico destinatario di tanto onore.
Peppe ‘a seccia sapeva prendersele le soddisfazioni. Carattere estroverso e disponibile, difficilmente lo si poteva scorgere corrucciato. Amava la vita, anche se un po’ tumultuosa. E di orgoglio ne aveva da vendere. Tantissimo gliene diede il suo primo figlio.
Per tanti di noi Peppe ‘a seccia è stato anche semplicemente il papà di Truciolo. Suo figlio Enzo nacque nel 1955. Indole ribelle, voglia sfrenata di vivere e lasciar vivere, divenne una star dello spettacolo. Enzo Avallone era in arte Truciolo, ballerino di talento, una montagna di riccioli biondi e gambe che arrivavano in cielo. Divo della tv, partner della Heater Parisi, la notorietà e il successo ai suoi piedi. Finì tutto tristemente nel 1997, fu difficile asciugare le lacrime del papà.
Le due mogli e i quattro figli sono stati il mondo imperscrutabile di don Peppino, geloso al punto giusto dei suoi affetti. Enzo e Maria nati dal primo matrimonio, Luca e Pierpaolo con Mario dal secondo. La seconda moglie, la signora Colomba, in omaggio al nome, gli ha regalato quella pace interiore che serviva a un uomo che faceva tutto a perdifiato. Lo piange con Luca e Pierpaolo e Mario, che del padre hanno sempre avuto una venerazione, e con i cognati Giacinto, Teresa e Maria.