Il mio primo impatto con l’opera di Carotenuto avvenne in Via Mercanti nella libreria galleria di Feliciano Granati, poi all’Incontro, alle spalle del Cinema Metropol, infine da Lelio Schiavone al Catalogo, verso la fine anni ’60. In quello spazio Vasco Pratolini, Mario Luzi, Renato Guttuso, Michele Prisco, Rafael Alberti, e tanti altri: insomma, il meglio della cultura italiana dell’epoca e, noi giovani, in religioso silenzio ad osservare Lelio e Mario i cerimonieri e i guru degli eventi. I collage di Mario, le sue sperimentazioni, il suo ritorno all’ordine, alla pittura figurativa (ma che significa?) che non era tale, ma evocativa, onirica, surreale, poesia. E poi i suoi scritti. Da grande, invitavo spesso Mario nella mia aula del liceo artistico al San Massimo, nella gelida ex cappella longobarda e nelle mie lezioni gli chiedevo di disegnare nature morte e la modella in presenza degli alunni, rapiti da tale esperienza che cercavano di rubare al Maestro i segreti del disegno e delle varie tecniche. Da quest’ esperienza nacque un libro con la partecipazione di altri artisti e critici: Durante Dalisi Trimarco Menna e altri ancora e, Gelsomino D’Ambrosio. Già, Gelsomino, con il quale spesso andavo nello studio di San Benedetto a trovare Mario che, all’epoca fumava il doppio delle mie sigarette. E, ogni volta, mi regalava un disegno, un bozzetto con dedica, in segno di amicizia. Gelsomino D’Ambrosio era più esigente: osservava meticolosamente e lentamente le opere del Maestro, ed era sempre indeciso su quale quadro o disegno scegliere per sé. Mario, per altro, aveva grande considerazione per D’Ambrosio, anche perché, grafico, spesso gli curava le varie edizioni di stampa. Ricordo l’Ars amandi di Ovidio, una serie di opere su carta che Mario realizzò con la traduzione di Guido Carotenuto, professore di latino e Greco. Che combinazione, all’inizio della sua carriera, Guido insegnava latino e italiano al Tasso ed io fui suo allievo alle medie. A dodici anni mi fece scoprire Cardarelli e spesso ricordavo e parlavo con Mario di questo. In una pubblicazione de’ Il Catalogo di Lelio Schiavone ho avuto l’onore di essere recensito da Mario e non credo che lui fosse stato estraneo al mio arruolamento come pittore nella prestigiosa galleria. Insieme a Gelsomino D’Ambrosio, un altro poeta del disegno, si discuteva spesso di pittura con Carotenuto e, insieme, abbiamo già visto negli anni ’70 i suoi autoritratti, ora recentemente esposti, che pudicamente ci mostrava nel suo studio di San Benedetto, in tiepide serate d’inverno. Carotenuto amava scrivere, di lui conservo diversi scritti in tema di pittura, ed era un uomo colto, una rarità nel nostro mestiere. A noi ha insegnato l’umiltà nel lavoro, che senza fatica non si raggiunge alcun risultato e che senza la conoscenza del mestiere non esiste la pittura.
Sergio Vecchio (pittore)