di Olga Chieffi
Martedì sera, Salerno si è ritrovata al Verdi per assistere allo spettacolo di Drusilla Foer. Le chiacchiere, l’eccitazione, il voler essere presenti a qualunque costo, all’evento della stagione di prosa della città, hanno aleggiato nei palchi e nel foyeur, ri-cominciando il rito borghese del teatro. Ieri mattina, nel Salone dei Marmi di Palazzo di Città, l’ incontro con Carmelo Cosma, l’ultimo femminiello di Napoli, una persona vera, che ha attraversato una storia complessa, piena d’ombre, un percorso di sofferenze subite, di non dialogo, di odio, di esclusione, che l’hanno portato, oggi, ad avere una caffettiera sempre piena e disponibile, dinanzi al suo “vascio” ai Quartieri Spagnoli. Il messaggio lanciato dal palcoscenico del Verdi da Drusilla e ieri mattina e domenica da La Tarantina è unico Amore. Le arti, tutte, sono automodificazione, sono esperienza sociale, in grado di cambiare la società se tutti noi accetteremo le incertezze del cambiamento, come le ha accettate la Tarantina. Grande ed entusiasta è stata la partecipazione delle istituzioni, a cominciare dall’assessore Gaetana Falcone, unitamente al sindaco di Pellezzano Morra, delegato alla cultura per la Provincia di Salerno e a Maria Rosaria Meo Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Pellezzano nonchè Consigliere della Consulta Femminile Regionale, che hanno consegnato un riconoscimento alla Tarantina. Quindi il dialogo sulla ideazione e realizzazione di un docufilm “Una lunga intervista – ha iniziato – il regista Fortunato Calvino, che ha avuto un non semplice inizio, dovuto alla mancanza di comunicazione, di quasi timore, che poi si è sciolto come neve al sole, appunto con l’ascolto, con il non fermarsi alla superficie, che magari può far allontanare, ma in tutto bisogna osare per conoscere e si è osato in due, poiché dal film è nato lo spettacolo che domenica sarà in scena alla Sala Pasolini”. Lo spettacolo teatrale per la regia di Fortunato Calvino, con Stefano Ariota, Luigi Credendino, Antonella Quaranta e Gerardo Trezza, prodotto da Arcoscenico Teatro, del Presidente Rodolfo Fornario, racconta la sua storia, la sua vita e quanto questa possa esser stata dura. La Tarantina, da Avetrana, ci ha raccontato del suo arrivo a Napoli subito dopo la guerra, città vista con gli occhi di un ragazzino di soli nove anni, il quale si trovò nei Quartieri Spagnoli del primo dopoguerra, quando c’era speranza e le porte erano sempre aperte, ci si dava una mano, e si cantava. Il canto non era una rappresentazione a beneficio di altri, si cantava per sé: per “sbariare”, per vivere un momento di pausa, per commuoversi o rallegrarsi. Da un balcone aperto o dalla strada veniva, ogni tanto, una canzone, un ritornello, una frase, voci di gente comune, voci isolate, voci di chi, forse, voleva inconsciamente placare una pena o ingentilire per un attimo il tran tran quotidiano. “Oggi non è più così – ha continuato La Tarantina – le porte sono chiuse e si cammina con la testa bassa. E’ per questo che io lascio sempre la porta aperta e accolgo tutti per un caffè, per una parola, parlare fa bene”. E come chi legge un libro interagisce con la pagina scritta, interpretando in maniera personale fatti e personaggi, così, chi canta, frugando soprattutto nella sua memoria, contribuisce un poco a ricreare quel canto, come ha fatto La Tarantina. Continua La Tarantina la sua storia, la persecuzione della polizia e la partenza per Roma, dove visse la sua personale e trasgressiva dolcevita, conoscendo intellettuali Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Laura Betti, Goffredo Parise e Novella Parigini, la pittrice famosa per le sue donne con gli occhi di gatto, che la ebbe più volte come modella. È stata arrestata più volte per multe non pagate per travestitismo o atti osceni. Era al carcere di Poggioreale durante il terremoto del 1980 quando, approfittando del sisma, ci fu un regolamento di conti tra bande rivali con risse e rivolte che portarono a tre morti e moltissimi feriti. Ha vissuto cose orribili, dentro e fuori dal carcere, lottato per i diritti, pagandole sulla sua pelle. Quindi, il suo urlo d’amore “Tutto è perdonato, tutto è stato superato grazie alla “fame” che mi ha obbligato a reagire, a riaprire gli occhi, a vivere d’amore”. D’altra parte, l’etimologia di femminiello, che rappresenta un unicum nel panorama dei dialetti: deriva dalla parola latina “fémmina” che a sua volta racchiude in sé il significato di “colei che allatta”. Si tratta, infatti, di un costrutto che unisce la radice latina “fa”, e che rimanda all’idea di allattare, e il suffisso participiale “mina”, che suggerisce e rafforza l’idea della generazione, del parto e della cura della prole. La Tarantina riconosce, infatti, tra due esseri solo l’amore filiale, ovvero il dare il latte al proprio pargolo, il resto è desiderio, è altro. E nel dire le cose, nel dire il silenzio presente, nei suoni delle cose, la parola della Tarantina ha riacceso la meraviglia. Meraviglia che non è solo incanto o superamento estatico della ragione, ma è e continua ad essere riflessione: la riflessione del cogito che prova insieme l’angoscia del silenzio – ossia della morte – e la gioia della parola nel raccontare una storia, oggi d’amore.