La nostra notte di Ognissanti una festa di vita - Le Cronache
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La nostra notte di Ognissanti una festa di vita

La nostra notte di Ognissanti una festa di vita

 

Ieri le zucche di Halloween il rito celtico ma è oggi, al calar delle tenebre, che saranno protagoniste le nostre tradizioni popolari eredi degli  antichi culti pagani 

 Di Olga Chieffi

Ieri sera, nonostante le limitazioni del Covid-19, le raccomandazioni del ministero della sanità, la giusta intemerata, del governatore Vincenzo De Luca, Halloween, il “carnevale” novembrino vera e propria festa del consumistico mondo occidentale, è andato ugualmente in scena. I bambini sono stati condotti per mano, torno torno, a porre la fatidica domanda “Dolcetto o scherzetto?”. Per molti la festa è estranea alla nostra cultura, un chiaro esempio dell’effetto della globalizzazione e dell’assorbimento di usi e costumi del mondo anglosassone. In realtà, celate da maschere e vetrine scintillanti, ecco trasparire antichi ricordi di tradizioni mai del tutto scomparse e ancora insite nel folklore popolare. Sarà così seguendo gli indizi nascosti nelle pieghe del tempo che arriveremo ad un culto molto antico, il culto della Dea Madre, regina di questa mistica notte. Il 31 ottobre coincide con l’inizio dell’anno celtico, il momento in cui la natura, inizia il suo riposo e il primitivo, spaurito dalla morte della propria “mater”, già preparava la sua rinascita. Da qui il collegamento di Samhain alla festa dei morti. In realtà essa non è una festività legata ai defunti ma esattamente il contrario, è legata alla vita, alla grande dea che muore per poter rinascere. Per noi del Sud, che abbiamo un rapporto privilegiato con l’oltretomba, esso diventa il giorno in cui il velo che separa il mondo dei vivi da quello del soprannaturale si fa molto sottile, tanto da poter facilmente trapassarlo, così che le anime dei morti più facilmente riescono a raggiungere e far visita ai loro cari ancora in vita. Da questa credenza nasce l’usanza di lasciare frutti o latte sugli usci delle porte, in modo che gli spiriti, durante le loro visite possano ristorarsi o ancora accendere torce e fiaccole, o lumini, per segnalare il cammino e agevolare loro il ritorno. Con l’avvento del Cristianesimo, la Chiesa cercò di appropriarsi della festività troppo radicata nella cultura popolare per esser cancellata e così il 1° Novembre diventava la festa di Ognissanti, le figure fatate e gli spiriti della tradizione celtica, a loro volta immagine di un oltremodo di morte e rigenerazione, furono demonizzati, le stesse donne il cui ruolo nei rituali di fertilità era fondamentale furono trasformate in streghe e i falò di “gioia” tradotti in roghi. Anche le lanterne e le luci guida subirono una ugual sorte, quelle che all’inizio avevano proprio il compito di indicare ai propri defunti la “via di casa” divennero “lanterne scaccia streghe” con un uso completamente differente. La tradizione vuole che solo verso il 1700 iniziò a sorgere l’usanza di intagliare strani e spaventosi volti e di inserire nel loro interno delle candele illuminate proprio per far allontanare gli spiriti maligni. Se così immaginiamo che la lanterna di Halloween abbia origini moderne basta sfogliare il Corpus Hippocraticum del 400-300 a.C. per leggere che “…se la donna ha la stanguria tagliare la testa e il fondo di una zucca, metterci sotto del carbone, gettare sul fuoco della mierra triturata, la donna si sieda sulla zucca e faccia entrare quanto più possibile i suoi organi genitali, affinché le parti genitali ricevano più vapore possibile…”   Ai nostri occhi la descrizione sembra perfettamente coincidere con la lanterna caccia-streghe simbolo della festività. La zucca è così lo strumento per assicurare la procreazione, essa è il priapos primordiale, l’elemento ingravidatore che nasce dalla stessa terra e assicura, nel periodo più oscuro e buio la vita. Ebbene il dio era anche strettamente collegato alla zucca come possiamo leggere dai Carme Priapei  “…io sono invocato come custode ligneo delle zucche…” E ancora il ricordo della zucca come frutto legato ai rituali di fertilità lo ritroviamo in molti autori latini che la associano al parto e alla gravidanza « …intortus cucumis praegnansque cucurbita serpit… »  o ancora Properzio scrive « …caerules cucumis tumidoque cucurbita ventre… ». Così l’idea del “ritorno dei morti”, concetto che deriva proprio da quella visione di morte e resurrezione che caratterizza il culto, e la ritroviamo in moltissime tradizioni: nei paesi costieri, ad esempio, è vietato mangiare carne e pesce e andare in mare a pescare perché “si pescano le ossa dei morti” e  nelle case, si usa imbandire la tavola tenendo un posto vuoto per i defunti e accendendo ceri e luci che servono proprio ad indicare la strada al morto. In Sicilia i morti per i bambini che li attendono, non sono né tristi né paurosi, anzi misteriosi amici e capita di sorprendersi, della generosità di nonni che il tempo non aveva concesso di conoscere in vita. Tradizione vuole infatti che, in questa notte speciale, i morti lascino un giocattolo e i dolci tipici del periodo: su tutti pupe di zucchero e frutta di marzapane, la celebre “martorana”, nel “cannistru”, lasciato allo scopo sotto il letto. Parte del divertimento deriva dal fatto che i morti, non lasciano banalmente i doni sul tavolo, ma si divertono a nasconderli, “costringendo” i piccoli a trasformarsi in validi cani da caccia per andare a cercare il dono. Sul rito dei doni s’ innesta la ricorrenza religiosa del 2 novembre: la commemorazione dei defunti, che riunisce la famiglia attorno alla tomba dei propri cari, una visita mai cupa, per i bambini che vanno a ringraziare per il dono ricevuto. La credenza campana è che tutti i morti sono liberati il 2 novembre di ogni anno e vagano sulla terra sino al 6 gennaio, giorno dell’Epifania. E’ questo il periodo in cui il tempo storico si arresta, sanando la frattura dei vari livelli separati quotidianamente, per cui il passato convive con il presente e il mondo dei defunti e dei demoni coesiste con quello dei viventi. Non facciamoci, quindi, abbagliare dalle zucche e dai pipistrelli anglosassoni, i cibi della nostra tradizione, graditi agli spiriti sono il melograno, pietanze a base di fave, fagioli o lupini, cibi contenenti semi, o ancora mandorle, noci, nocciole, castagne, pinoli, frutti dotati da sempre di straordinari poteri magici, nella nostra favolistica. Anche da noi esistono dolci particolari, confezionati con mandorle, miele e zucchero, oltre la napoletana pastarella dei morti fatta con confetti e paste morbide, detta anche pastellessa: fuori della finestra nella notte di Ognissanti una tazza di latte e un lumino saranno il viatico per noi e le nostre voci di dentro.