La mostra I sentieri del Sacro - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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La mostra I sentieri del Sacro

La mostra  I sentieri del Sacro

Di Olga Chieffi

“O viandante apprendi queste gesta e prosegui il tuo cammino”. E’ questo la chiosa della lapide che segna il luogo dove per ben cinque secoli hanno riposato le spoglie di San Matteo nella cappella “Ad Duo Flumina” in Casalvelino. San Matteo è il giorno del cambiamento, come lo fu per lui pubblicano, convinto da quel “Seguimi”, della selezione, il discernimento dell’apprendere come separare il puro dall’impuro, l’utile dall’inutile, il nocivo dal salutare, la cosa morta da quella viva. Dal contrasto, al viaggio, dall’iniziare un cammino, al travail, il travaglio del parto, hanno in inglese la stessa radice. Patimento e vita nuova, nella medesima esperienza, scelta di libertà. Nel viaggio per ritrovarsi, per ri-iniziare, il compiere il primo passo comporta sofferenza, tensione radicale, disagio, timori, ma anche conquista di conoscenza, quale percorso di trasformazione mentale nei confronti di se stessi. Mai mostra fotografica fu maggiormente indovinata de’ “I sentieri del Sacro, organizzata in partenariato con il Meeting di Rimini e la Fondazione Teatro Garibaldi di Modica, dall’Associazione culturale Tempi Moderni, in collaborazione con la Fondazione della Comunità Salernitana Ets e Salerno Opera, inaugurata ieri negli spazi del tempio di Pomona e fruibile gratuitamente sino al 12 ottobre, curata da Micol Forti, Direttrice della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani e Alessandra Mauro, Direttrice Editoriale di Contrasto, accolta dalla Curia Arcivescovile di Salerno – Campagna – Acerno, nella persona di S.E. Arcivescovo Andrea Bellandi. Gran pubblico nella luminosa giornata di ieri e vetrina elettorale, che ha visto guidare la “processione” Vincenzo Napoli con il consigliere regionale Franco Picarone; l’assessore alle Politiche Sociali e giovanili, Paola de Roberto, l’assessore alla Mobilità, Rocco Galdi; la consigliera comunale, Antonia Willburger; Arturo Iannelli, presidente della Commissione cultura del Comune di Salerno; il vicepresidente della Fondazione della Comunità Salernitana Ets, Ermanno Guerra; il vicepresidente della Fondazione Carisal, Rosaria Chechile, il Consigliere Delegato al Welfare culturale della Fondazione della Comunità Salernitana; Michele Buonomo. Spazio particolare quello del tempio di Pomona che ha permesso un allestimento semplice, continuo e avvolgente, per circa cinquanta immagini “grandi firme” e un’opera video, per gli sguardi di Gianni Berengo Gardin ad Antonio Biasiucci, da Giorgia Fiorio a Mimmo Jodice, da Mario Giacomelli a Ferdinando Scianna, unitamente a Sebastião Salgado, Markéta Luskačová e Harun Farocki. Il pellegrinaggio fa pensare alla ricerca di silenzio, ma sappiamo bene che nel corso dei secoli tanta musica e balli sono stati raccolti uno su tutti le livre Vermell canti religiosi e profani per la madonna nera. Dalle immagini emerge poi quell’elemento costitutivo dell’essere umano che è il bisogno dell’altro. Cade la falsa idea di autosufficienza e si impone la verità che gli altri ci sono necessari, come noi agli altri. Si riscopre, di fatto, quella interdipendenza che ci lega gli uni gli altri, e che ci mostra in maniera eloquente come noi siamo fatti per la relazione: «No man is an island» (John Donne). Spesso il pellegrinaggio favorisce una rinnovata fiducia nell’essere umano, assieme al desiderio di vivere in modo diverso le proprie relazioni (solidarietà, condivisione nella diversità, inter-generazionalità). Non va, infine, dimenticata la presenza di una compagnia invisibile durante il cammino: le persone care – vive e defunte – che non sono fisicamente presenti, ma che ciascuno porta nel cuore, e la cui presenza emerge con sorprendente forza nell’interiorità o anche nelle conversazioni. Se l’essere umano è fatto per la relazione e la comunione, tuttavia ha bisogno di armonizzare la sua ricerca di condivisione con l’altrettanto necessaria dimensione del silenzio e della solitudine. Se riflettiamo, il ruolo della fotografia non è poi così diverso da quello che offre l’esperienza del pellegrinaggio. La fotografia, nel suo apparente tentativo di fissare il tempo, in realtà lo prolunga, diventando una forma di apertura, interrogazione e ricerca. Nella sua Piccola storia della fotografia, Walter Benjamin afferma giustamente che, nella fotografia, sveliamo l’“inconscio ottico”, proprio come il pellegrinaggio ci permette di accedere al santuario nascosto dell’interiorità. La fotografia, quindi, non solo testimonia il regno del visibile, ma ci avvicina anche allo spirituale e all’invisibile, una precisa necessità di fissare il sacro, oggettivarlo, renderlo tangibile e riproducibile, permettere ad esso di rimanere fisso nella memoria e nella storia, registrando così l’irruzione dell’invisibile nel visibile. Nello specifico, la rilevanza del mezzo fotografico – e, in seguito, della videoripresa – è legata anche alla sua funzione di strumento di riproduzione “rituale” del fenomeno sovrannaturale, che fa delle stesse non solo supporti che riproducono “fedelmente” un ambiente o una circostanza, ma latori essi stessi del sacro, talvolta intrinsecamente dotati di un potenziale virtuoso che rimane fissato e impresso sulla carta fotografica. Il pane, simbolo della famiglia e del pellegrino stesso, Scianna e il fenomeno religioso dopo aver visto quello della mafia, i pellegrini della Slovacchia della Markéta Luskačová, l’immagine di Giacomelli, la fatica, il sacrificio, il dolore del processionale, gli sguardi, l’affidamento, gli ex-voto di Mimmo Iodice, quel dialogo, vivo e vero con l’Oltre che possediamo noi uomini del Sud. Ecco l’urgenza di abbandonare ogni intento di controllo e sopravvenire quel “venir meno” che è il contatto col Dio, la visione e tentare di scoprire i mezzi che consentano anche alle immagini di essere se stesse. E nel fissare le cose, il silenzio presente nei suoni delle cose, l’arte nel suo domandare deve riaccendere la meraviglia. Meraviglia che non è solo incanto o superamento estatico della ragione, ma è e continua ad essere riflessione: la riflessione del cogito che prova insieme l’angoscia del silenzio – ossia della morte – e la gioia nell’immagine delle cose. “Parlare è inutile, perché il mondo ha smesso di ascoltare”(Eduardo De Filippo Le voci di dentro). Zio Nicola è la coscienza, la saggezza che resta in silenzio quando il mondo è troppo violento e non c’è più la pace, unico obiettivo vero dell’umanità. “La saggezza non può parlare”. Come fa ad esprimersi la saggezza quando è sottoposta ogni giorno a spettacoli raccapriccianti? Oggi come fare? Anche la parola è vuota ed interessata. Solo in punto di morte, poco prima di esalare l’ultimo respiro, Zio Nicola si decide a lanciare l’ultima sentenza e il suo respiro non può che essere un fuoco pirotecnico, verde che ne annuncia la morte. Il silenzio dopo i fuochi è rotto dal solo profferire di Zi’ Nicola : “Per favore, un poco di pace!”. “Basterebbe far tutti un po’ di silenzio e riusciremmo a sentire le voci”, dice Ivo Bellini nel finale de’ “La voce della Luna” di Federico Fellini, non a caso con Eduardo “ultimo” dei visionari. Dopo aver tentato numerosissime, troppe strade, occorre, ora, far silenzio. La strada è quella dell’arte, qui della fotografia, della riflessione sul Sacro, ben oltre il tema, poiché un’immagine è bella e significativa di per sé, basta penetrarla. Forse, solo nelle diverse arti, dei suoni, visive, teatrali, coreutiche, poetiche, la mente può aprirsi un cammino immune da sensi prefissati e di qui, ogni slargo, ogni liberazione, ogni ri-nascita, potrà divenire possibile.