Adriano Rescigno
Sono stati consegnati ieri pomeriggio dai volontari dell’Anpana – associazione di volontari che si occupa della tutela della salvaguardia del patrimonio zoologico e ambientale della provincia – ventuno diplomi di fine corso per gli ospiti dell’istituto a custodia attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze di Eboli. Una grande festa per i detenuti che dopo un breve esame ed il ritiro dell’attestato si sono resi protagonisti, vincendo, di una partita a calcio balilla contro i volontari dalle divise verdi. A sostenere gli esami dunque i 21 ospiti dell’istituto, esaminati dal coordinatore provinciale della onlus e già luogotenente dell’Arma dei carabinieri, Vincenzo Senatore e del responsabile del progetto, sempre volontario, l’avvocato Michele Scafuro, coadiuvati dalla signora Tiziana Panico, anch’essa volontaria. Nella sala teatro dunque della struttura, accompagnati dallo sguardo vigile degli uomini della polizia penitenziaria e del settore educativo, i ventuno, tra uomini e ragazzi di un’età compresa tra i 18 e 52 anni hanno conseguito il tanto atteso diploma dopo aver partecipato alle 4 lezioni da 120 minuti ed alla lezione pratica esterna da 240 minuti. «L’uomo e l’ecologia; principali fonti di inquinamento dell’acqua; il problema dei rifiuti; leggi e normative in materia”, questi gli argomenti trattati durante le lezioni tese al recupero e reinserimento sociale di quanti vi hanno partecipato che perfettamente si sposa con le finalità e l’essenza stessa dell’essere dell’istituto stesso, ovvero quello di ridurre le situazioni di disagio sociale dei ragazzi, abbattere comportamenti aggressivi, prevenire e contenere i fenomeni di disagio, favorendo il rispetto e la conoscenza verso un patrimonio ambientale da difendere. Ai ragazzi infatti sono stati impartiti anche insegnamenti in materia di caccia e pesca oltre a basi in italiano, geografia, scienze, educazione all’immagine, matematica ed educazione motoria. Un progetto a tutto tondo svolto in maniera totalmente gratuita così come l’opera dell’istruttore, l’avvocato Scafuro, nel corso delle varie lezioni. «E’ stata un’esperienza che ripeteremo – ci ha dichiarato l’avvocato insieme al coordinatore provinciale Senatore – che si sposa con l’anima dell’associazione di difesa del territorio di cui ci onoriamo di far parte. Questi ragazzi dal retaggio problematico hanno dimostrato interesse e volontà, volontà di farcela e di reagire alla loro condizione. Sono di esempio e le ore trascorse con loro sono la forza per andare avanti».
«Con loro rapporto schietto e onesto Qui imparano ad autogestirsi»
Ad assistere all’assegnazione degli attestati degli ospiti dell’istituto, anche la direttrice Rita Romano, con le valige già pronte causa fine del periodo previsto per legge, alla quale abbiamo rivolto qualche domanda.
Quali sono le problematiche di una struttura come quella che dirige?
“Le problematiche sono gli stessi punti di forza della struttura stessa che ricordo è un’Icatt. E’ rapporto con l’utenza. Il rapporto, il contatto diretto e quotidinano con l’utenza. Un’utenza difficile e dalle tante richieste, bulimica sotto certi aspetti, richieste e situazioni infinite che poi ti porti dentro. Ti porti dentro ogni storia, ogni volto, non è un lavoro di burocrazia, non si ha a che fare con documenti e carte, si ha a che fare con materiale umano e le loro storie, te le porti dietro, è difficile chiudere a fine giornata, bisogna sempre essere pronti a rispondere alle esigenze di quanti sono ospitati che al momento, anche se la struttura ha un massimo di sessanta persone da ospitare, ne sono quaranta”.
Sceglierebbe di nuovo questo lavoro oppure no?
“Assolutamente si. Lo rifarei. E’ un lavoro affascinante, vario, che non consente di annoiarsi ed in un certo senso anche di estrinsecare quali sono le tue passioni, per esempio abbiamo corsi di teatro, di lettura. Ripeto, il mio non è un lavoro da impiegato, bensì siamo sempre in contatto con persone e la vita di esse, non è consentita l’approssimazione”.
Qual è il suo rapporto con i ragazzi che popolano i corridoi dell’istituto?
“Un rapporto onesto, schietto e diretto. Sono molto rigida rispetto all’osservanza delle regole, che poi è anche il punto primo del programma Icatt. Non siamo un carcere classico, qui i detenuti non vivono in pochi metri, essenziale è l’autoregolamentazione. Consentiamo a chi ospitiamo di riappropriarisi degli spazi, di autodeterminarsi ed il rispetto delle regole per il reinserimento nella società è fondamentale. Qui i ragazzi si mettono in gioco, si rimettono in discussione in una dimensione per così dire aperta dove il tempo non è scandito da altri ma sono loro a gestirsi e le regle sono essenziali per poi riapprocciarsi alle libertà proprie ed altrui”. Ci sono stati episodi difficili in questi anni a cui far fronte? “Fortunatamente qui ad Eboli no, niente è accaduto fuori dall’ordinario, mentre a Salerno, essendo stata vice direttore della casa circondariale di Fuorni, sono capitate situazioni difficili a cui far fronte, come dei decessi”.
«A mio figlio dico sempre di non avvicinarsi alla droga e rispettare le donne»
Tra i ragazzi che hanno ieri conseguito il diploma ci sono Maurizio e Giuseppe, rispettivamente 38 e cinquant’anni; Maurizio è anche il coordinatore del giornalino dell’istituto. Quattro figli, da un’anno nell’istituto di Eboli con ancora una pena di quattro anni da espiare. “Il giornalismo è un modo per dire che ci siamo anche noi, per far sentire la nostra voce, i nostri pensieri. Quando uscirò la prima cosa è trovare un lavoro onesto, forse potrò fare il giornalista, mi piace tanto scrivere di cronaca. L’istituto ti da il modo ed il tempo di riflettere su quello che hai fatto e che puoi fare. Quello che posso dire ai giovani, a tutti quelli che stanno per sbagliare, è quello di non fare errori stupidi, di non essere superficiali, di dare importanza alla vita ed al tempo. Ai miei figli dico solo di essere se stessi, di non omologarsi”. Giuseppe Invece è da diversi anni in carcere, prima riforniva i mercati di abbigliamento, poi la sua attività fallisce e subentra la droga ed insieme ad essa i reati che lo hanno portato in cella. “Quello che dico sempre a mio figlio è di fare quello che ritiene giusto, ma di non drogarsi mai e di non abusare mai di una donna, solo se lei è consenziente. Non ledere mai la libertà i altri, io ho sbagliato, ma non ho usato mai violenza su nessuno, questo non va bene. Quando esco la prima cosa è quella di rimettermi in piedi, cosa posso fare, rimettermi in piedi. Voglio lavorare, qui si imparano tante cose, si fanno tanti corsi, anche quello di istruttore cinofilo, impari a cucinare. Voglio un lavoro onesto, voglio stare nella legalità. Come tutte le persone normali.