di Barbara Ruggiero
Potremmo definirla la geografia della “nera”; un fenomeno che, complice la pervasività e la spettacolarizzazione di un certo tipo di informazione, ci consente di conoscere anche i più remoti luoghi divenuti, loro malgrado, teatro di eventi di cronaca nera. Ma la cronaca nera – e la conseguente ricostruzione in termini di approfondimento e/o di ricostruzione cinematografica – può danneggiare l’immagine di un paese? Interrogarsi è d’obbligo. Qui non è Hollywood. Il sindaco di Avetrana crede sia possibile e, in soldoni, chiede che la sua cittadina sia conosciuta ovunque per bellezze e storia e non per un fatto di cronaca nera che risale a 14 anni fa. Anche per questo la messa in onda della serie tv intitolata “Avetrana. Qui non è Hollywood” – già proiettata alla Festa del Cinema di Roma e tratta dal libro “Sarah. La ragazza di Avetrana” pubblicato da Fandango – è stata temporaneamente sospesa per decisione del tribunale di Taranto a seguito di un ricorso cautelare d’urgenza presentato dal sindaco, preoccupato dal fatto che «il titolo esporrebbe la cittadinanza al pregiudizio. Sulla scorta del fatto che tale intitolazione potrebbe indurre gli utenti del prodotto cinematografico ad associare la città di Avetrana alla vicenda di cronaca nera, suscitando negli stessi l’idea di una comunità potenzialmente criminogena, retrograda e omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati». Gli appassionati del genere crime e i semplici curiosi attendevano la messa in onda della serie (4 puntate), prodotta da Groenlandia per Disney+, in questi giorni. E invece dovranno attendere almeno fino al prossimo 5 novembre, data in cui è stata fissata in udienza la comparizione delle parti. Per ora la serie andrà in onda, ma è stato fatto “scomparire” il nome del paese, Avetrana appunto. Avetrana è un comune di poco più di seimila anime della provincia di Taranto, assurto agli onori della cronaca per l’omicidio di Sarah Scazzi nell’estate 2010. La scomparsa della quindicenne tenne con il fiato sospeso tutto il Paese. Poi lo zio, Michele Misseri, fece trovare in diretta tv il corpo in fondo a un pozzo e si autoaccusò del delitto; la sua versione, però, non convinse gli inquirenti che si misero sulle tracce della zia e della cugina di Sarah, Cosima Serrano e Sabrina Misseri, condannate all’ergastolo per concorso in omicidio anche dalla Cassazione, mentre “zio” Michele fu condannato per occultamento di cadavere. La morbosità di certa cronaca trasformò il caso in un evento mediatico di portata nazionale, trasformando il fatto in uno show per il pubblico. Come spesso accade, nei casi di circo mediatico, si sviluppò un vero e proprio turismo dell’orrore. Nella piccola cittadina pugliese, il sindaco del tempo, pochi mesi dopo il delitto, fu costretto a dire basta ai pullman dell’orrore: le cronache del tempo raccontano di autobus organizzati da agenzie con visite di casa Scazzi e villa Misseri. Il dark tourism, come lo chiamano gli esperti, non fu proprio una novità nel nostro paese: si era manifestato principalmente per Cogne, con i turisti sorpresi a scattarsi foto davanti alla villetta in cui fu ucciso il piccolo e si è ripetuto tristemente in ogni caso di nera che guadagna l’attenzione mediatica. Il fascino del true crime. Episodi e situazioni che evidenziano sempre più la passione degli italiani per il true crime, un genere di narrazione – pensiamo a docu-serie o a podcast – che si focalizza su delitti, omicidi e casi giudiziari realmente accaduti. I podcast e la tv in streaming paiono aver rinvigorito la passione per questo genere, che trova comunque terreno fertile con la televisione: è anche il caso dei pomeriggi in tv in cui la cronaca nera è la parte dominante; sono i salotti televisivi in cui si alternano giornalisti, criminologi, psicologi, sociologi; tutti pronti a dire la loro sugli ultimi casi di cronaca ma anche sui cosiddetti cold case. Dati alla mano, il true crime pare essersi trasformato da prodotto di nicchia a genere trasversale e di successo: ci sarebbe da indagare su come sia stato possibile che questo genere sia divenuto una prolifica industria culturale e un fenomeno in grande crescita. I fatti e le rappresentazioni. Una cosa appare certa: la passione crescente degli italiani per il true crime è una domanda e, in quanto tale, incontra sul mercato l’offerta di un certo tipo di informazione e di intrattenimento. In mezzo ci sono i luoghi geografici e i comuni che fanno da sfondo e diventano, loro malgrado, protagonisti. Spesso, come nel caso di Avetrana, si tratta di luoghi tranquilli che si trovano a ospitare troupe, giornalisti, inviati di emittenti nazionali e non, tutti a caccia di scoop e visibilità. Sono situazioni in cui ci si sofferma a evidenziare i limiti che non deve valicare la corretta informazione, che è sempre resoconto dei fatti e rispetto delle persone. Ma alla fine, la domanda, nel caso di Avetrana, come in altri è semplice: può essere una serie tv a infangare il nome di una cittadina? O la diffamazione viene anche da certe cronache giornalistiche? E perché non dal fatto in sé?