La folle journée de’ Il Cappello di paglia di Firenze - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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La folle journée de’ Il Cappello di paglia di Firenze

La folle journée de’ Il Cappello di paglia di Firenze

Di Olga Chieffi

Deux jours de folie le Nozze di Figaro mozartiane e questo Cappello di paglia di Firenze, di Nino Rota, titolo scelto dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno, guidato da Fulvio Artiano, per l’ormai abituale inaugurazione del nuovo anno accademico, avvenuta ieri sera sul palcoscenico del Teatro Verdi. Barbiere di Siviglia, il verismo di Cavalleria Rusticana e Suor Angelica, Elisir d’amore e quest’anno l’opera del genio milanese con questa parodia, che attraversa l’intero percorso del melodramma, da Mozart a Rossini, a Verdi, con contaminazioni di vaudeville, musical, house musik, boogie-woogie e quant’altro. L’opera di Nino Rota ci ha convinto per l’intenzione, ovvero, la sottile ironia nei confronti di quel pubblico borghese, lo stesso che è in parte mancato alla prima serale, che regalerà il tutto esaurito all’allestimento salernitano di Nabucco o del concerto di Capodanno. Nell’ouverture, l’orchestra affidata a Francesco Rosa, è riuscita ad esaltarne la quasi sportiva agilità, con un suono e colori adatti, le sortite di Fadinard, un degno Pierluigi D’Aloia, nitido in ogni suo “dire”, il quale si è mosso con grande disinvoltura, nelle pittoresche e spiritose scene, ed Elena, una fresca Maria Sardaryan, ha fatto bene nel canto espressivo e in qualche episodio evocante il belcanto virtuosistico, grazie alla lucentezza del suo gorgheggio, certamente ispirati dalla melodia spiegata di Bohéme, e dalla romanza da salotto tostiana, mentre il racconto del dispetto del cavallo di Fadinard deriva dallo scioglilingua del Figaro di Rossini, e al cameriere Felice, Luca Venditto, è stato associato un leit-motive da vaudeville, Nonancourt, Nicola Ulivieri, celebrato basso, si è barcamenato da par suo dal ruolo tragico, che ci ha ricordato la figura incombente del Commendatore nel Don Giovanni, al buffo, nelle diverse tappe del suo viaggio al seguito del genero, alla ricerca del cappello. Bel debutto di Anaide, Francesca Siani, protagonista del duetto del primo atto con Emilio, un ancora verde Antonio De Rosa, stentoreo e senza espressività e risultati non sempre favorevoli sul timbro, che strizza l’occhio chiaramente al boogie-woogie, un accenno di sincopato da eseguire con scioltezza e non-chalance, che è stato capace di “squadrare” i due cantanti e l’intera Orchestra del Martucci, la quale non è riuscita ad abbondanarsi al relaxin’, che è caratteristico di questo genere musicale. Bene anche la modista, una Margherita Rispoli, pressochè “perfetta”, protagonista del Vola l’ago, insieme ad un coro femminile in ottima forma, preparato dal Maestro Francesco Aliberti, mentre la Baronessa di Champigny, Sonia Ganassi, in un ruolo che scimmiotta la Hanna Glawari della Die lustige Witwe, ha vestito quei panni con la sola coscienza interpretativa, conquistata nella sua lunga carriera, sia nella pagina musicale che nella recitazione. Beaupertuis, la cui aria di sortita “È una cosa incredibile”, che a tratti si volge a Ford di Falstaff, quindi al Compare Alfio di Cavalleria rusticana, non è certamente priva di difficoltà, ha salutato il debutto nel ruolo, di Carlo Lepore, del quale non possiamo non applaudire, come ad ogni sua “epifania”, il bellissimo timbro, la eccezionale duttilità di emissione, uno squillo luminoso, il fraseggio espressivo e la realizzazione vocale, unitamente ai tempi comici. Hanno completato il cast Vincenzo Tremante, uno Zio Vézinet dalla singolare levità umoristica, il doppio ruolo di Luca Venditto, Felice e Achille , quindi un caporale delle guardie Rosario Caramico, una guardia Paolo Affilastro, e il grande violinista Minardi, Marco Melillo scopertosi tosco. Quattro atti che simboleggiano lo spegnersi di una ammaliante tradizione, essenzialmente disumana, che Rota va candidamente rappresentando in uno affievolimento simbolico della sua stessa memoria, citando Puccini inframmezzato da qualche battuta di Cheek to Cheek di Berlin, ma senza andare “oltre”, in particolare nelle armonie riservate all’orchestra. Solo il terzo atto si salva da questo gioco delle associazioni, in cui viene fuori la personalità musicale del Rota che conosciamo, elevantesi da un limbo che non si sa se definire pre o post-moderno. Divertente ed efficace la regia, come solo sa fare Riccardo Canessa, così come le scene e i costumi di Alfredo Troisi. Un cappello questo, piazzato proprio sulle ventitrè, come i rintocchi che alla “prima”, per uno strano caso delle coincidenze, sono stati evocati proprio alla giusta ora, ovvero per aver optato per un tono e un’estetica di raffinato divertissement sfruttando con abilità citazioni musicali e testuali più o meno evidenti, creando un tessuto ricco di rimandi riconoscibili e di humor sottile, rendendo omaggio all’impronta di vaudeville tipica della commedia di Eugène Labiche, rispettandone la leggerezza, la comicità e il carattere di intrattenimento, senza cadere, però nella caricatura. Gran mattatore il Maestro del coro Francesco Aliberti, il quale oltre a preparare il coro si è lanciato in scena da perfetto attore, risolvendo la tempesta liberatoria, con un “Stateve Zitt’”, fuori scena, battuta napoletana, la “Canessata”, attribuita ad una imposizione del segretario artistico Antonio Marzullo, che ha trasformato di fatto Francesco Aliberti in “A napolitan in Paris”. Questa sera, alle ore 18, ultima replica con il cast serale, ma ieri sera, trionfo continuato per gli studenti del conservatorio, che hanno lanciato nei ruoli di Elena Laura Fortino e in quello della baronessa Miriam Tufano, ormai artiste in carriera e adatte a questi ruoli, che sanno “giocare” in palcoscenico, riuscendo perfettamente a realizzare le ragioni estetiche di Riccardo Canessa, unitamente ad Antonio De Rosa che ha cantato la parte di Beaupertuis, Daniela Magnotta in quella di Anaide e Yaosen Huang Ruggero, nei panni di Emilio. Applausi scroscianti per tutti e, in particolare, per una bella orchestra con alcune prime parti top, a cominciare dal fagotto di Mattia Costa, dalla tromba di Francescopio Sandulli, dal corno di Giovanni Russo, dal clarinetto di Manuel Pio Magurno, con gli accorti timpani di Simone Parisi, e tutti gli archi che hanno avuto, quale irreprensibile, KonzertMeister Vincenzo Meriani, agli ordini del Maestro Francesco Rosa, il quale con leggibile e semplice comunicativa, ha avuto il compito di guidare i ragazzi in una partitura dalle mille sfaccettature, con finale dionisiacamente rossiniano, in una esecuzione che ha inevitabilmente avuto qualche discronia tra buca e palcoscenico e qualche colpo di piatti extra nella tempesta, ma ottimisticamente sorprendente.