Il teatro Nuovo sin dalla sua apparizione nel 1989, si è subito imposto per la sua programmazione che ha inteso abbracciare tutti i generi della letteratura teatrale. Non dobbiamo dimenticare che nei suoi primi dieci anni la sala di via Laspro ha ospitato artisti che rispondono al nome di Gabriele Salvatores, Barberio Corsetti, Marisa Fabbri, Franca Nuti, Elisabetta Pozzi, Enzo Moscato, Isa Danieli, Roberto De Simone, Moni Ovadia, Giovanna Marini, Danio Manfredini, Claudio Bisio, Valère Novarina, Peppe Lanzetta, Vincenzo Pirrotta e tantissimi altri che rappresentavano e ancora oggi restano i dioscuri del teatro di tradizione e di sperimentazione italiano. Nei suoi spazi si sono succedute rassegne e stagioni che puntavano ad una raffinata qualità cercando al tempo stesso di ospitare anche tutto ciò che offriva, in termini di creatività e produzione, l’attività cittadina. La rassegna “Teatro della Notte”, presentava seminari e laboratori sulla migliore drammaturgia italiana ed europea con la consulenza dei vari docenti di discipline teatrali quali: Achille Mango, Rino Mele, Paolo Puppa, Marco De Marinis, Attonio Attisani. Di tutta questa vecchia storia , Pasquale De Cristofaro, unito alla vecchia dirigenza, è stato sicuramente un protagonista indiscutibile. Nel corso dei festeggiamenti si è toccato con mano una cieca spugna che ha inteso cancellare questa importante sezione della programmazione, quello sguardo oltre, uno dei primi, che senza la caparbietà di Pasquale De Cristofaro, la sua tenacia e la sua professionalità, la storia del teatro Nuovo e della nostra città, non avrebbe vantato. In seguito la sala aumentò i suoi posti a sedere, per accogliere più pubblico, ma paradossalmente la maggiore capienza portò con sé anche un inesorabile avvicinamento al gusto della massa, al semplice, alla totale spensieratezza. Intanto, a Salerno, riaprivano diverse sale e create di nuove, che hanno contribuito a differenziare i generi e le proposte. Se da un lato il desolato stupore che spesso proviamo di fronte all’architettura dello spettacolo salernitano, la quale tenta di assumere in sé e di giustificare l’esistenza possibile del teatro, non fa che evidenziare, per l’appunto, l’incongruenza e la difficoltà dell’odierno rapporto teatro-società, di teatro e cultura diffusa del teatro, dall’altro dobbiamo registrare un bisogno di teatro, al di là dei luoghi e degli spazi codificati; il teatro esce sempre più spesso dai teatri o ne crea di nuovi: talvolta si sogna un teatro fatto di luci e di movimento, talaltra si fanno spettacoli nei circhi, nelle piazze, nelle palestre, negli anfiteatri antichi, in spazi all’aperto, nelle scuole o negli atri delle scuole. Pertanto, le ripetute fughe dei teatri dal “teatro” e il loro rifugiarsi nei luoghi possibili ed anche impossibili del quotidiano e del vissuto, così come il loro nostalgico recupero di antichi spazi, devono documentare le contraddizioni e le inquietudini di un’epoca come la nostra che ha perso punti di riferimento stabili, ma che tuttavia spesso manifesta interessanti aperture, autentiche “tensioni” verso nuovi “possibili espressivi”.Il teatro è da intendere come spazio di relazione: se la nostra condizione esistenziale è quella di uomini costretti a vivere immersi in un flusso continuo e assordante (assordante/assurdo) di messaggi che compongono l’esasperante e indistinto leit-motiv, il “rumore di fondo della modernità” (Calvino), allora davvero il teatro può essere il luogo ideale della frantumazione e della ricomposizione, della distinzione, della riflessione, della scelta, della passione e della ragione, una delle ormai esigue ipotesi di recupero di una dimensione umana del pensiero. Sono due le anime maggiori dello spazio teatrale, quella che ne costruisce la casa e quella che la riempie di vita, vorrei aggiungervi che oggi non possono essere tanto i nuovi progetti a rispondere alle esigenze di un autentico spazio del teatro, quanto una progettualità di vita: bisogna essere vivi nel teatro ed anche attraverso il teatro, ascoltare le voci e poi, il silenzio, la parola e ancora il silenzio che sono le categorie fondamentali, ma anche le condizioni necessarie del teatro e dell’esistenza, bisogna guardare alla storia “tutta” senza cedere a mai a infime ripicche, per provare a trasformare il rumore in pensiero, per mettere a fuoco i valori e per dare vita a “nuovi possibili espressivi” che è, in fondo, l’unico modo per essere vivi oggi.
Olga Chieffi