L’artista ha lasciato ieri inaspettatamente il mondo dei vivi. Il 17 gennaio aveva presentato la sua ultima opera, il volume “Le stanze dell’eremita”, al museo archeologico della sua Paestum
Di OLGA CHIEFFI
Era Sergio Vecchio il ragazzo che cinquant’anni fa si tuffò nel mare di Paestum per la Rai, che era sbarcata nella antica Poseidonia per riprendere la grande scoperta di Mario Napoli, la tomba del tuffatore. L’incanto e l’estrema modernità di quell’affresco, segnò un punto di svolta nella pittura di Sergio Vecchio, che ieri mattina ha lasciato il mondo dei vivi, rivivendo quel tuffo metaforico che segna il passaggio al mondo dell’oltre, quella “liberazione dell’anima” che sta per ri-nascita. Sergio nella notte del fuoco, il 17 gennaio aveva presentato la sua ultima opera, proprio all’Archeologico di Paestum, “Le stanze dell’eremita”, in libreria per Oedipus. Un’opera di oltre 130 pagine tra tavole e scritti, con il contributo in prefazione di Gabriel Zuchtriegel e Paolo Apolito, che andava a continuare, a distanza di un anno, quell’intervento creativo site-specific dell’ex fabbrica Cirio di Paestum, costruita nel 1907 su di un antico santuario dove, sorgeva anche il borgo medievale e la chiesa di Sancta Venera. Una affollata presentazione che aveva avuto il suo dionisiaco prosieguo nella notte, con i suoi amici ceramisti, artisti che nel suo studio di vetro avevano voluto festeggiare il loro patrono e il ritorno alla luce. Una festa, proprio a quattro passi dalla stazione di Paestum, nella casa di famiglia di Sergio, dove tutto è iniziato, dall’avvistamento degli archeologi Zancani Montuoro e Zanotti Bianco, lì per le loro prime ricerche archeologiche, alle scelte di Sergio pittore, sempre pronto a ri-cominciare “il racconto”, racconto che nel suo percorso artistico, si fa viaggio, nell’ostinato coraggio nel seguire e, perseguire, unicamente l’arte, con e come unico obiettivo, aleatorio, rischioso, iniziatico, l’approdo ad un reale, attraverso la continua ricerca, il tempo, la metamorfosi, l’attesa. Nelle vere stanze dell’eremita, il suo studio, abbiamo incontrato Sergio Vecchio homo ludens , che sapeva disporre gli ingredienti del gioco o del sogno per comporre una metafora della vita: la sua casa miniera di oggetti, fogli, libri, cartoline non è l’esposizione di una semplice impresa collezionistica, che si esaurisce in una serie di pezzi rari ma è occasione di rinnovata riscoperta del suo e del nostro vissuto, artificio del disseppellimento dei talismani, rito della restituzione dei mille frammenti-testimoni che dopo tanto tempo si sono ricaricati di energia e di senso, e assurgono a ruolo di attivatori dell’immaginazione nostra e di Sergio che li recupera ad una stranita dimensione poetica. Lì abbiamo giocato con Sergio e i suoi tanti amici “in forma” di cane, racconti dell’anima che scivolano nell’attualità e ritornano nell’eterno, testimoni, confidenti, consiglieri delle sue giornate di lavoro nel laboratorio paestano, equidistante dai templi, dalla vecchia stazione e dal suo simbolico “scambio”, dalla tomba del tuffatore, dagli allevamenti di bufale, dal mare nostrum, privilegiate guide della sua arcadia popolata di dee, nottole, cavalli, uccelli. Tutto è sempre partito da quella capanna di vetro, capace di catturare ogni sfumatura di luce, dall’alba più tenue al tramonto più infuocato, dai colori lividi dell’albeggiare, al petrolio della notte, riscaldata da una semplice e fumosa stufa a legna, dove Sergio cercava la forma su infinite carte d’alici, il colore, creando e disfando, le sue terre, gli azzurri, i rossi, vivendo le sue tele, novello filosofo cinico. Il viaggio si compie da un giardino all’altro dove sono ospiti animali, simboli, che appaiono dai remoti sentieri dei primordi di Sergio, in cui la dea stende il suo “velo” per iniziarci al segreto, al riconoscimento e al governo di forze misteriose con cui l’Uomo deve fare i conti, nel suo rapporto con la physis, che lo circonda e lo protegge come un “recinto” simbolo eterno di conservazione e rigenerazione, anche dell’Arte stessa. La memoria non dà particolari: l’andamento dei contorni è semplice, il contorno è disteso, l’emozione, remota nel tempo, è maturata nella memoria, dunque, nel tempo dell’esistenza, e lascia emergere il suo significato profondo, è divenuta pensiero. La dea, insieme ai suoi animali, ha ieri svelato il suo enigma, sollevando il velo donandosi allo sguardo di Sergio che ha conquistato gli occhi per “vedere”.