«Io testimone della sanità che funziona qui al sud» - Le Cronache
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«Io testimone della sanità che funziona qui al sud»

«Io testimone della sanità che funziona qui al sud»

di Erika Noschese

«Voglio sfatare il mito di una sanità che funziona al nord ma non al sud». A parlare così Mirella Memoli, attivista di Movimento Disabili articolo 14 (organizzazione guidata, a livello nazionale, dal salernitano Giovanni Cafaro), affetta una rara malattia che, nel tempo, l’ha costretta a vivere su una sedia a rotelle. «Io vivevo a Bologna ma lì non mi hanno mai curato pur avendo individuato la mia malattia ma dopo la diagnosi nulla», ha spiegato Mirella che racconta il periodo infernale della sua vita, fatto di dolori costanti e febbre alta che l’hanno accompagnata per quasi due anni. «Così inizia il mio pellegrinaggio in giro per il nord Italia per tentare di capire cosa mi stesse succedendo». Mirella è giunta all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona dopo aver deciso di far ritorno, insieme alla sua famiglia, nella sua città natale: «Io sono di Salerno e l’anno scorso sono giunta in città per festeggiare la Pasqua insieme alla mia famiglia. Dopo aver cercato soluzioni a Firenze, a Pisa, a Padova, mi sono detta “perché non provare anche a Salerno”». Solo nella città capoluogo Mirella riesce a trovare un po’ di sollievo, il suo calvario inizia a prendere una nuova strada, si intravede finalmente la luce in fondo al tunnel. Proprio a lei era stata paventata l’ipotesi di cure troppo costose, al nord, a Salerno può curarsi come deve, senza alcun aggravio economico. Al San Leonardo, in neurologia l’hanno salvata e ora lei continua a curarsi nella sua città natale. «La differenza, per me, è fondamentale. Oggi si parla tanto di una sanità che funziona ma per quello che mi riguarda, dopo 25 anni, non è assolutamente così perché io ho avuto due anni di febbre altissima, quasi costante, e non sono mai riusciti a farmi il prelievo. Questo è solo un esempio banale ma la dice lunga. Io a Bologna dovevo fare una prenotazione per una visita a domicilio e dovevo recarmi in un centro specifico, abbastanza lontano, mentre i normodotati potevano tranquillamente prenotare in farmacia».

Lei attualmente presso quale reparto è in cura?

«Io sono in cura presso il reparto reumatologo con il dottor Moscato. E’ un reparto che funziona benissimo che si occupa di tante persone. Andrebbe potenziato perché i medici lavorano molto per curare al meglio per curare le persone. Il reparto, tempo fa, aveva solo una stanza e delle poltroncine oggi è cambiato: in un solo anno ha fatto enormi passi avanti. Penso che andrebbe potenziato sia da un punto di vista strutturale che di personale medico perché oggi c’è sempre più richiesta e loro fanno i salti mortali per fronteggiare tutte le richieste di persone che necessitano di essere curate, seguite con delle terapie apposite come nel mio caso. Loro fanno l’impossibile, sono bravissimi».

Crede che oggi il Ruggi sia un ospedale accessibile ai disabili?

«Allora, gli ascensori non sempre funzionano; parecchie volte sono rimasta bloccata dentro ma anche a Bologna ho trovato le stesse difficoltà».

Così, sfatiamo il mito della sanità che funziona al nord ma non al sud…

«Assolutamente si. Penso che le persone si lascino abbindolare da un’immagine che non corrisponde alla realtà. E’ fondamentale avere una struttura che funzioni, a partire proprio dal pronto soccorso». Al Ruggi di Salerno, ora Mirella può tranquillamente curarsi, senza problemi e soprattutto senza aggravi economici. Il pensiero della salernitana non riguarda solo il reparto che si occupa della sua patologia ma di tutto il nosocomio: «Abbiamo dottori eccezionali ma spesso ne parliamo sempre e solo male. E’ come se per la gente fosse più facile lamentarsi che elogiare. Forse, al sud abbiamo questa caratteristica di piangerci un po’ addosso, di lamentarci senza trovare soluzioni», ha aggiunto la donna secondo cui, ad oggi, tra le difficoltà riscontrate c’è sicuramente la dislocazione dei vari reparti, spesso troppo lontani ma, sottolinea, «questa è una scelta dei manager».