di Red. Cro.
“Per quanto riguarda il caso del paziente Francesco Di Poto che ha denunciato di aver atteso un anno per un intervento alla cataratta presso l’Unità Operativa di oculistica del plesso Ruggi di Salerno e di essersi poi sentito rifiutare l’anestesia, mi preme sottolineare che le cose non sono andate cosi”. A parlare è il Direttore dell’Uoc di Anestesia e Rianimazione del plesso “Ruggi” dell’Aou di Salerno, dottor Renato Gammaldi, che non ci sta a sentir additare un proprio medico di superficialità. “Occorre premettere che il signor Di Poto si è prenotato per l’intervento di cataratta il giorno 13 novembre 2017 ed ha effettuato la visita anestesiologica, propedeutica l’intervento, in data 23 febbraio 2018, quindi con un’attesa di poco più di tre mesi e non di un anno come da lui affermato, dato questo che, oltretutto, conferma come i tempi d’attesa per questo tipo d’intervento siano al Ruggi di Salerno i più bassi di tutte le strutture sanitarie pubbliche della Campania. Nella visita anestesiologica, il medico spiega Gammaldi – non si è rifiutato di praticare l’anestesia al paziente, ma ha sottolineato che tale procedura poteva essere effettuata solo con il regime di ricovero e non di Day Hospital, come avviene di solito, stante proprio la patologia di cui il signor Di Poto è affetto e di cui aveva reso edotto l’anestesista”. Dottor Gammaldi, qual’era l’impedimento ad effettuare l’anestesia e mantenere il ricovero in day hospital? “Il rischio elevato del ripetersi di una crisi epilettica in un paziente che ne aveva denunciata già una insorta la settimana precedente la visita anestesiologica e mentre era in corso di trattamento antiepilettico. Per questo motivo, stante la necessità di uno stretto monitoraggio allo scopo di prevenire l’insorgenza di una nuova crisi, era stata posta l’indicazione al ricovero del paziente per l’esecuzione dell’intervento. Inoltre, a maggior tutela, era stato richiesto un elettro-encefalogramma ed una consulenza neurologica allo scopo di valutare anche eventuali modifiche o potenziamenti della terapia in corso”. Che tipo di anestesia avrebbe dovuto praticare il paziente? “Di solito si esegue una anestesia con blocco anestetico locale peribulbare o retrobulbare, ma occorre tener presente che proprio gli anestetici locali hanno, tra gli effetti collaterali, la possibilità di indurre una crisi epilettica”. Quindi voi avevate optato per una soluzione alternativa? “Si, avremmo voluto eseguire l’intervento in anestesia generale, eventualmente ricorrendo ugualmente al blocco, ma con la sicurezza della copertura indotta dai farmaci impiegati abitualmente per la sedazione profonda che sono notoriamente antiepilettici. E’ da sottolineare il pericolo che avrebbe corso il paziente nel caso in cui, con semplice anestetico locale, fosse sopraggiunta una crisi epilettica ad occhio aperto: avrebbe fortemente rischiato la perdita dell’occhio”. Quanti giorni il paziente sarebbe rimasto ricoverato? “Al massimo tre giorni, ma avrebbe avuto tutte le garanzie possibili in merito alle sue problematiche”. Quindi una decisione solo a tutela del paziente? “Assolutamente si. Nessuno si è mai rifiutato di praticare un’anestesia nella nostra struttura. E’ fondamentale soltanto eseguire una corretta classificazione del rischio anestesiologico, esporla chiaramente al paziente e ottenerne da questo il consenso informato. Non esistono le anestesie impossibili, vi sono solo diversi gradi di rischio e diversi modi di procedere, sempre e solo nell’interesse del paziente”.