Quando e come ha scoperto la fotografia?
Mi sono appassionata a questo mondo da adolescente. Mi è capitato di entrare in una camera oscura e la magia ha fatto il suo lavoro. È stata una magia fatta di olfatti, di visioni, dalla quale non mi sono mai più separata.
All’inizio del suo percorso, quali sono state le tappe più significative?
Alla fine degli anni ’90 ho realizzato la mia prima personale, dedicata al mio territorio, alle radici, dal titolo Orme, sentieri di Murgia. Poi la partecipazione ad Alberobello fotografia, un’importante rassegna trasformatasi nel corso del tempo in Fotografia in Puglia, della quale sono stata organizzatrice per la tappa di Andria, invitando come ospite nell’edizione 2004 Gianni Berengo Gardin. Il periodo legato a questa realtà mi ha dato la possibilità di incontrare e quindi confrontarmi con tutta una serie di artisti legati al mondo della fotografia, fra cui, il già citato Gianni Berengo Gardin, ma anche Ferdinando Scianna, Guido Harari, per citarne alcuni.
Cosa rappresenta per lei la fotografia in termini emotivi?
L’elemento che caratterizza il mio concetto di fotografia è l’incontro. Quello con la gente, perché mi piace tanto raccontare il lato umano delle cose, ma anche di un territorio, di una comunità. Proprio per questo nei miei lavori prediligo l’utilizzo del grandangolo e non quello del teleobiettivo: mi piace entrare dentro l’essenza delle cose. Non saprei fotografare qualcosa che mi ha vista lontana dalla scena, come uno scatto rubato per intenderci.
Fotografa per lavoro o per passione?
Non è il mio lavoro, ma sicuramente la mia passione. Fotografo per amore della bellezza.
Cosa le piace fotografare?
L’indagine sociale. Rappresentare i gesti, gli appuntamenti sacri e popolari, il linguaggio della vita quotidiana, focalizzando gli aspetti più identificativi di una comunità che si muove sempre dentro il suo paesaggio urbano e territoriale. Poi il teatro, le arti: la musica, la poesia. Quando l’arte va in scena e sta raccontando qualcosa.
Perché predilige il bianco e il nero?
Il mio amore per la fotografia è nato in camera oscura, dove notoriamente non ci si mette a stampare il colore. Poi sostanzialmente non amo replicare il reale. La realtà è colore, il bianco nero è una rappresentazione della realtà.
Il nostro paese è sensibile a questo genere artistico?
In Italia c’è ancora una sottovalutazione enorme di questo linguaggio espressivo. Specialmente in questo momento storico, dove per assurdo, grazie alla tecnologia, “fotografano tutti”, la fotografia fatica enormemente ad affermarsi come linguaggio artistico. Alla base di questo ragionamento dovrebbe esserci un chiarimento molto semplice e cioè, che la fotografia non è determinata dalla macchina fotografica, essa può tuttalpiù donare delle qualità superiori in termini tecnici, ma l’atto creativo che genera l’opera, deve essere supportato da tutt’altro, in primis il proprio modo di vedere la realtà. Per dirla con un paragone, non serve una penna per scrivere un romanzo, piuttosto che un computer, ma la mente di chi lo immagina.
Presso lo Spazio Cerzosimo a Bellizzi, è stata inaugurata la sua personale dal titolo “Le mie Orme”, ce ne parla?
Il tutto è nato dall’incontro con Francesco Truono, che ho avuto modo di conoscere in occasione del Jazzit Fest a Montegrosso, che dopo aver visto i miei lavori, ha subito pensato di propormi a Cerzosimo Fotografia. La mostra sarà costituita da alcune stampe a cura dello Studio Fotografico Cerzosimo, ma soprattutto da una serie di proiezioni, che raccontano il mio percorso artistico, appunto “Le mie Orme”, dai miei primi lavori ad oggi.
Progetti futuri?
C’è il desiderio di far confluire in una mostra un lavoro realizzato a quattro mani con Francesco Truono quest’estate in occasione dell’Aquila Jazz, dove abbiamo raccontato l’impatto con la città di questi oltre duecento jazzisti, che si sono mescolati con la loro musica, al contesto urbano, ancora fortemente deturpato dai segni evidenti del sisma.