Il teatro amaro di Don Raffaele - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Il teatro amaro di Don Raffaele

Il teatro amaro di Don Raffaele

di Olga Chieffi

Sarà il mondo poetico di Raffaele Viviani, che ha come centro la strada, perché la strada è il cuore di Napoli, la strada dai mille vicoli che sono le arterie da cui fluisce ed in cui rifluisce la vita, la strada con i suoi “palazzi” e “palazzielli”, con i suoi bassi e le sue botteghe, a chiudere, giovedì 21 aprile, alle ore 21, la rassegna teatrale “Te voglio bene assaje” organizzata da TeatroNovanta al Teatro delle Arti a Salerno. Il dittico scelto dal regista Matteo Salzano sono “’O vico” e “Tuledo ‘e notte”, con la rappresentazione della Napoli di giorno fra i mille frastuoni, con le sue friggitorie, le sue pizzerie, i suoi “posti” di verdura e di frutta, i venditori ambulanti e la folla che pullula e vocia; e di notte, legata al mito della serenata e dei guappi. Anche se l’azione, per caso, si svolge in ambienti chiusi, la strada è sempre il presupposto e lo sfondo dell’azione; maestra di vita, origine e spirito animatore di un’arte inconfondibilmente popolare. Anche se la vita napoletana è fedelmente riprodotta, con i suoi più sgargianti colori, in Viviani il folclore non è che occasionale ed accessorio; l’essenza è invece genuina arte popolare, perché nasce dall’osservazione poetica di una realtà che interessa al di là dei confini cittadini; ed è, perciò arte nazionale. Quella verità, di cui Viviani coglie l’aspetto comico e drammatico, gli si presenta, oltre che nel suo contenuto passionale, anche in quello sociale e morale. Ciò è perché Viviani ha conosciuto per propria esperienza, in una Napoli poverissima, la condizione del più povero; e gli basta talvolta, una battuta, un distico, per vendicarlo dalle umiliazioni, dalle offese, dalla secolare ingiustizia. Non è mai una parola ribelle (questo è il limite non dell’artista, ma dell’uomo) ma è sempre una parola amara, tagliente, dolorosa (è quella dell’uomo del popolo che sta dalla parte del popolo; e del poeta che sa dirne il dolore). I due atti unici sono legati dalla figura e dalla voce di Bammenella, affidata al sentire di Serena Stella, che realizzerà, quella sera, un sogno di bambina. Bammenella è la protagonista della marginalità, una donna forte e volitiva, che rifiuta onorevolmente di arrendersi e ricorre all’espediente di esaltare la condizione che, viceversa comprende di dover subire. Nel cimento di Serena Stella, nella sua voce dagli innumerevoli misteri, le mille e una Bammenella di Viviani, racchiuse nel suo segreto “Pe’ mme è essenziale/quanno me vasa carnale!/me fa scurdà tutt’ ‘o mmale/ ca me facette fa’!”, preludente alla “Ballata del macrò” dell’ “Opera da tre soldi” di Kurt Weill. La canzone di Ines, detta “Bammenella ‘ e copp’ ‘e Quartiere” è forse il personaggio più intenso e più famoso del teatro di Raffaele Viviani, quello che caratterizza parte della sua intera produzione teatrale, dotato di un fascino irresistibile, è una prostituta non più giovanissima, ma ancora piacente e convinta di sapere ancora “vendere il mestiere”. Una pagina non semplice la celebre canzone, in cui quella trasformazione lineare del parlato, in melodia, avrà da elevarsi a singolare momento di tipizzazione poetico-musicale del personaggio, scelto quale elemento di continuità interno all’azione e al decorso delle due storie. Il pubblico si lascerà poi incantare dalla caratterizzazione dei personaggi, dal guappo ‘nnammurato alle chantose, sino alla plebe, al popolo, protagonista assoluto della opera, con i personaggi minori che hanno una loro peculiarità, un proprio modo di agire, lasciandosi trasportare dalla musica sia vocale che dalla parola in sé. Il linguaggio allusivo, che si fa più evidente nei contrasti fra innamorati, come tra Prezzetella ‘a capera’ e l’acquaiuolo, in apertura di ‘O vico, nei riti legati alla tradizione e dal gergo, da quello della camorra a quello delle prostitute, la poesia del vicolo con i suoi bassi e la sua miseria, scenario di quel mondo della strada da cui emergono le creature più significative della letteratura di Viviani, hanno lasciato gli spettatori compenetrare l’animo del nostro cantastorie urbano, considerando il suo teatro una versione in musica di una lingua universale. Ci sovviene un volume dei principi del secolo breve “Voci e gridi di venditori in Napoli” codificati “musicalmente” dal M° Cesare Caravaglios, il quale ci consegna quelle invenzioni, quelle cavatine, le “voci” , sul pentagramma, analizzandole per la prima volta nel concetto e nel suono, non solo quali espressioni poetiche. Tutti protagonisti saranno gli attori in scena, Lucio Bastolla, Chiara De Vita, Antonello Cianciulli, Raffaele Milite, Marco De Simone (che ha riarrangiato le musiche), Daniele Nocerino e Manuel Stabile. Il gruppo di giovani attori cantanti è composto da Marco Bartiromo, Gioia Consiglio, Gaia Vicinanza, Giorgio Finamore, Giovanni D’Auria ed Eleonora Moscatiello, che schizzeranno, in un’opera completa e complessa, in cui proletariato, sottoproletariato e mezza borghesia stagliantesi sul piano drammatico, divisi dalle posizioni di classe o uniti dalla comune miseria, evocati dall’eco di una strada che reca gioie e dolori, una Napoli povera e generosa.