Abbiamo incontrato il regista alla vigilia del debutto della sua realizzazione de’ “La Tempesta” di William Shakespeare, gemma del cartellone di prosa del Teatro Verdi di Salerno
Di GEMMA CRISCUOLI
Se è vero che siamo fatti della stessa materia che sostanzia i sogni, non esistono confini tra epoche e stadi della coscienza. Ed ecco che l’isola de “La tempesta” di Shakespeare diviene un luogo della mente in cui specchiarsi. Il capolavoro del Bardo, in scena al Massimo cittadino, vede Eros Pagni, Gaia Aprea, Alessandro Balletta, Silvia Biancalana, Paolo Cresta, Gennaro Di Biase, Gianluca Musiu, Alessandra Pacifico Griffini, Alfonso Postiglione, Carlo Sciaccaluga, Francesco Scolaro, Paolo Serra, Enzo Turrin diretti da Luca De Fusco, che ha raccontato la genesi dell’allestimento.
Attraverso quali fasi ha preso corpo il suo progetto?
“La fase primaria consiste nel fare affidamento su una compagnia abbastanza stabile, basata sul grande talento di Eros Pagni, di Gaia Aprea e degli altri artisti. La collaborazione pluriennale, che ha avuto nella fiducia reciproca la sua forza, ha dato i suoi frutti ed Eros mi ha chiesto di interpretare Prospero, un ruolo decisamente affascinante che gli sta a cuore. Il teatro del resto si basa sempre su sintonie e collaborazioni tra scrittori, registi e attori. Questo ha spesso comportato grandi momenti teatrali”.
È lecito pensare a un Prospero demiurgo e prigioniero al tempo stesso?
“E’così. È innanzitutto prigioniero nella sua testa e proprio in virtù di questo si toglie la soddisfazione di creare emozioni e situazioni con la fantasia, anche se gli interlocutori immaginari riescono comunque a possedere una propria concretezza. La mia idea è che l’isola non esista, che tutto sia fittizio: quando infatti il protagonista incontra alla fine i suoi nemici, non si rivolge a loro, non li degna neppure di una parola, perché sono espressioni della sua creatività”.
Lei ha pensato alla metafora di un Novecento assediato, in procinto di essere inghiottito da una nuova era che inquieta e non si lascia categorizzare.
“Prospero è difatti un uomo del Novecento, incarnando il tipico immaginario di un intellettuale di quel tempo. I suoi antagonisti si muovono tra coordinate dettate da Magritte, Freud, Dalì, tra tensioni e aspirazioni discordanti”.
Quanto del teatro di oggi si riflette nella solitudine di Prospero?
“La somiglianza è decisamente netta. Sono solo una tribù coloro che amano il palcoscenico, che tuttavia conosce un’espansione notevole nonostante tutto e tutti. Se la società civile va poco a teatro, lo frequenta raramente, quest’ultimo può essere considerato a tutti gli effetti un’isola”.
Che cosa considera irrinunciabile in un testo teatrale, tale quindi da spingerla a propendere per un allestimento?
“Richiedo di non annoiarmi mentre lo leggo. La noia è un delitto mortale e imperdonabile. Nessuna motivazione di nessun genere la giustifica”.
Cosa vorrebbe che rimanesse allo spettatore dopo lo spettacolo?
“Vorrei che si sentisse rapito in un sogno, osservando ciò che accade tra i pensieri di un altro, per poi riconoscersi in quella dimensione onirica”.