di Raffaella D’Andrea
Ci sono luoghi che non ti lasciano mai davvero. Anche quando li lasci, anche quando percorri rotte lontane, anche quando ti sembrano un ricordo sfumato, quei luoghi restano lì, silenziosi, ad aspettarti. Il Cilento è uno di questi. Una terra dura e gentile, aspra e generosa, capace di entrare sottopelle come un canto antico, che richiama attraversa le generazioni come echi lontani. Enrico De Luca lo sa bene. Classe 1984, origini a Ceraso, un piccolo comune incastonato tra il mare e i monti del Cilento, ha viaggiato, studiato, lavorato in contesti internazionali. Eppure, il suo cuore ha sempre battuto a ritmo con quello della sua terra. Figlio di un ex bancario e di una farmacista, Enrico proviene da una famiglia profondamente radicata nel territorio, da generazioni punto di riferimento per la comunità locale. I suoi avi erano latifondisti, custodi di uliveti secolari che oggi raccontano storie silenziose, celate tra le fronde degli alberi mossi dalla brezza marina. Non è un caso che proprio tra quei rami si nascondano reperti dell’antica Velia, colonia greca fondata intorno al VI secolo a.C. e poi diventata città romana. Fu patria della scuola eleatica, di Parmenide e Zenone, filosofi della ragione e del pensiero logico. Un luogo di cultura e bellezza che ancora oggi affiora tra gli ulivi, come se volesse ricordare a chi li coltiva che questa terra ha una memoria profonda, che va oltre i confini dell’agricoltura. Dopo una laurea in Economia Aziendale a Perugia e una specializzazione in Management, Enrico inizia il suo percorso nel marketing in Umbria. Ma è il 2013 a segnare la svolta si trasferisce a Shanghai, in Cina, dove lavora nello sviluppo commerciale nel settore delle energie rinnovabili. Anni intensi, ricchi di stimoli e di successi. Eppure, nel silenzio dei suoi uliveti, qualcosa continua a chiamarlo. Il richiamo della sua terra, quella stessa forza che, secondo la leggenda, incantava i marinai al largo di Punta Licosa con il canto delle Sirene, si fa più forte. È il 2020 quando Enrico decide di dare nuova vita all’azienda agricola di famiglia, fondata dal trisavolo nel 1800. Nasce così il rebranding di un sogno: “Alberta Iannicelli 1894”, nome scelto in onore della madre di Enrico, simbolo di un legame affettivo e culturale. L’olio extravergine di oliva, ottenuto da piante secolari coltivate con metodo biologico, racconta non solo il sapore di una terra, ma anche la sua anima. Sfogliando insieme le fotografie d’epoca, Enrico mostra con orgoglio le latte d’olio dei primi del Novecento, già allora considerate un bene prezioso. Racconta delle lettere di ringraziamento arrivate da inglesi e tedeschi che, soggiornando nel casale di famiglia immerso tra gli ulivi, che riscoprono sapori perduti. Quel pane e pomodoro, condito con l’olio nuovo e il raccolto dall’orto, diventa per molti un’esperienza quasi spirituale, sapori dimenticati ritrovati tra i profumi di rosmarino e salsedine. L’olio, lo conferma anche la scienza, non è più soltanto un condimento è un medicamento naturale, ricco di polifenoli e antiossidanti, capace di nutrire corpo e mente. E nel Cilento, terra che è patria riconosciuta della dieta mediterranea, questo prodotto assume un valore simbolico ancora più potente. E mentre degustiamo l’olio, mostrandomi vecchi attrezzi e reperti storici, Enrico si emoziona pensando al futuro. Perché scegliere di restare, o di tornare, in un luogo così bello e insieme così difficile, non è solo una decisione di vita. È un atto d’amore per il territorio e le generazioni future. Io credo che Enrico, in cuor suo, abbia già scelto. E voi?





