di Olga Chieffi
Due titoli da far tremare i polsi alle grandi orchestre, il concerto per violino ed orchestra di Max Bruch e la Sinfonia n°4 op.36 di Petr Il’ic Cajkovskij, questo il programma scelto dal M° Stefano Pagliani, per il ritorno dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio “G.Martucci”. I riflettori si accenderanno sui giovani musicisti oggi, nel quadriportico del Duomo di Salerno, alle ore 21, quando dinanzi all’orchestra si staglierà la figura di Ilya Grubert, che alla fine del suo master in conservatorio, eseguirà il concerto n°1 op.26 primo dei tre dedicati al violino, l’unico pezzo veramente popolare di un autore che in seno al movimento romantico tedesco si colloca in una posizione defilata e conservatrice, lontana da ogni radicalismo di stampo moderno. Non per nulla il modello a cui Bruch si rifece è il Concerto per violino in mi minore di Mendelssohn, sia nei riguardi della disposizione formale, sia nella netta preminenza della vena melodica su ogni altro aspetto compositivo. La genesi del Concerto fu lunga e laboriosa e impegnò Bruch per svariati anni, dal 1864 al 1868. In questo arco di tempo il lavoro venne ritoccato almeno una dozzina di volte, giungendo alla sua stesura definitiva solo grazie ai consigli del grande violinista Joseph Joachim. Il titolo di Fantasia che Bruch in un primo momento voleva dare al Concerto tradisce la natura di alcuni aspetti del primo movimento e si riverbera sulla indicazione che l’accompagna, Vorspiel (Preludio). L’idea tematica esposta senza preamboli dal solista è una trovata musicale fulminante, che prende l’attenzione e si imprime subito nella memoria. La sua estinzione prepara, senza interruzione, il secondo movimento, un Adagio di vibrante densità espressiva, grave e patetico, appena al di qua del limite dell’enfatico: esso offre al solista il destro per far risaltare al massimo grado la più calda e sensuale cantabilità del violino. Questo movimento, cuore dell’opera, è notevolmente ispirato e, a differenza del primo, non cede per tenuta di tensione e intensità, risultando avvincente fino all’ultima misura. Gli fa da contrasto il Finale, un Allegro energico di stampo virtuosistico, non particolarmente originale nei temi ma assai ben architettato nel gioco delle parti tra violino e orchestra; dove il violino si fa energicamente strada con figurazioni leggere e brillanti, da bravo protagonista, e l’orchestra lo segue docilmente, quasi con festosa ammirazione. La volata del Presto conclusivo, poi, chiama prepotentemente l’applauso già in vista della dirittura d’arrivo. Seconda parte della serata dedicata per intero alla esecuzione della quarta Sinfonia di Čajkovskij composta quasi per intero nel 1877, autentico anno terribile che vide avvicendarsi nell’animo del compositore continui stati di aspettativa e avvilimento. Fu davvero un anno “fatale”, nel quale Čajkovskij realizzò lo sconsiderato progetto di sposarsi: l’unica soluzione possibile per negare a sé e al mondo la sua omosessualità. Il primo movimento si apre con la potente e tragica affermazione dell’impossibilità per l’uomo di accedere alla felicità: al proclama d’apertura di corni e fagotti si uniscono tromboni e tuba, e successivamente, come per drastica perorazione, trombe, flauti, oboi e clarinetti. A seguito di questa introduzione, che presenta il motivo fatale poi ricorrente come un’idea fissa in tutto il movimento e non solo, si apre un grande episodio tematico, in cui la melodia fondamentale, un mesto movimento di valse, viene ampiamente sviluppata in modo da trarne tutti i riflessi emotivi insiti, che vanno dalla rassegnazione alla disperata consapevolezza. Il dramma pare trovare una via di scampo nella dimensione di “sogno danzante” portata dal secondo tema, esposto prima dal clarinetto e poi dai violoncelli, con ornamentazione di scalette cromatiche dei legni. Una terza idea dà vita a un incalzante stringendo del tempo che sfocia nello sviluppo vero e proprio. Il ritorno del motivo fatale alle trombe pone fine all’elaborazione tematica e segna l’inizio della ripresa variata. La coda, dopo l’ennesimo squillo del destino, concede un’oasi di serenità che viene però travolta dalla stretta finale, il cui ritmo sussultante trascina gli archi nelle regioni acute per l’estremo lacerante grido di dolore prima della conclusione. L’Andantino in modo di canzona è fondato sulla melodia presentata in apertura dall’oboe, “semplice ma grazioso”, che torna in vari luoghi sempre sostanzialmente identica, modificata solo nel sostegno fornitole dagli altri strumenti. La parte centrale in tempo Più mosso presenta un nuovo tema dal carattere danzante, affidato a clarinetti e fagotti, che all’acme del suo sviluppo melodico viene contrappuntato da cellule ritmiche degli ottoni, desunte dal motto del destino d’apertura. La ripresa dal tema iniziale è ornata da brevi e rapidi inserti dei legni; la melodia viene poi ripartita e suddivisa tra le voci dei vari strumenti fino alla Coda, in cui la lunga riesposizione del tema al fagotto, quasi una cadenza solistica, conclude il movimento. Lo Scherzo è il movimento che riscosse maggior successo alla prima esecuzione della sinfonia, e in effetti il virtuosismo richiesto dai pizzicati degli archi, la varietà timbrica con cui i legni presentano la melodia popolaresca del Trio e la combinazione delle due realtà opposte nella conclusione del movimento, danno vita a uno degli arabeschi più fantasiosi ed elegantemente costruiti della produzione di Čajkovskij. Nel Finale pare trionfare una sana gioia di vivere. Questo aspetto festoso si può evincere dalla stessa strumentazione che chiama in causa triangolo, piatti e grancassa. La visione di vigorosa esultanza non tarda a essere interrotta dall’ennesimo ritorno del motto d’apertura; il fato incombe, la felicità è negata o relegata al sogno di un momento. Può forse esistere solo negli spiriti più semplici, che sanno far propria la spontanea allegrezza che qualche volta si accompagna alla vita.