Andrea Pellegrino
Il clima festaiolo che induce tutti ad essere più buoni, è stata l’occasione utile per il Parlamento di consegnare un gradito, quanto atteso, regalo di Natale, l’ennesimo, agli Enti Locali in difficoltà finanziarie e a rischio default. Ovviamente, a trarne i benefici saranno anche gli enti territoriali, quali appunto le Regioni ed in particolare quella campana. Infatti, circa trecento Comuni, tra cui quello di Napoli, grazie a due emendamenti della maggioranza di Governo, potranno rimodulare il Piano di rientro del debito fino ai prossimi 20 anni. Dopo il decreto, denominato “sblocca debiti” o “salva Italia” – che ha consentito, sotto il governo Monti, ai Comuni di potersi indebitare per far fronte ai debiti nei confronti di aziende ed imprese che attendevano da anni di essere liquidate, nonostante vi fosse un formale quanto però discutibile impegno di spesa -, un’altra legge è pronta per spalmare il disavanzo accumulato dagli enti nei prossimi venti anni. Ovviamente, l’indebitamento dei Comuni sarà tale che – tra mutui per investimenti, per la verità pochi, rate per far fronte al disavanzo e alla restituzione delle somme richieste per il pagamento di quanto anticipato dalla Cassa Depositi e Prestiti per pagare le imprese, per i prossimi venti/trenta anni – a farne le spese saranno i cittadini che vedranno ridursi drasticamente i servizi, mentre ai futuri amministratori toccherà l’ingrato compito di dover gestire dei bilanci sempre più ingessati, sovraccaricati dall’obbligo di dover far fronte al pagamento di cospicue rate legate a mutui di varia natura e dal ripiano di disavanzi che, contrariamente a quanto sinora previsto, ovvero nell’arco massimo di dieci esercizi finanziari, compreso quello corrente, (articolo 243 bis del Tuel), con le novelle modifiche disposte dal Parlamento si spalmeranno nel prossimo ventennio. Appare, così, sempre più evidente che l’armonizzazione dei bilanci pubblici, sancita con diverse leggi dello Stato, con la riduzione delle spese e l’introduzione di parametri sempre più restrittivi e stringenti per gli enti locali, resta una mera enunciazione di principi, alla luce dei tanti aggiustamenti che, di volta in volta, intervengono per rimandare, sine die, l’applicazione di quelle normative partorite per evitare sperperi o fenomeni di mala gestio della cosa pubblica. Del resto, se ad essere a rischio default sembra che siano poco più di trecento Comuni sugli oltre ottomila, qualcosa non quadra: vuol dire, cioè, che la stragrande maggioranza degli enti è in grado di rispettare i parametri che la legge sinora imponeva. Certo è che sistematicamente il legislatore interviene per rimodulare, se non rinviare l’applicazione di norme che, soprattutto, in materia finanziaria, dovrebbero assumere il carattere della certezza, per le ripercussioni che i bilanci degli Enti locali hanno sul bilancio dello Stato. Del resto, tra leggi, leggine e continue modifiche, chi può affermare, con estrema certezza che, in caso di future prossime difficoltà, anche le prescrizioni alle quali, secondo il nuovo via libera del Governo, gli enti locali, come il Comune di Napoli, sarebbero, al momento, obbligati ad attenersi, non potrebbero essere oggetto di ulteriori modifiche o slittamenti. Di certo, nell’ultimo decennio, la legislazione in materia di formazione dei bilanci degli enti locali è stata oggetto di continue modifiche, integrazioni e ripensamenti di varia natura. Eppure il vecchio Testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con Regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, la Bibbia per gli amministratori locali, ha resistito per circa settant’anni essendo stato abrogato dall’art. 274 del T.U. approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Da allora, e sono passati appena 17 anni, la legislazione in materia si è arricchita di una miriade di provvedimenti non sempre concordanti rispetto alle enunciazioni di principio, tendenti al rigore ma che non hanno avuto alcun riscontro nei fatti. Una per tutte, la possibilità che è stata e viene concessa, tuttora, ai Comuni, come alle Province e alle Regioni, di cancellare dal bilancio milioni di euro di residui attivi, ovvero di somme dovute all’Ente da terzi, per lo più sanzioni per violazione al codice della strada, tassa sui rifiuti, Ici, occupazione di suolo pubblico e non incassate, senza che venisse imposto agli enti l’obbligo imperativo di attestarne, in modo puntuale, le ragioni della mancata riscossione. Alla prossima sanatoria, quindi, magari con ulteriori misure nei confronti delle società miste, di recente entrate a far parte dei bilanci consolidati degli Enti locali e che sin dall’esordio hanno posto, in evidenza, non poche criticità.