di Alberto Cuomo
Il voto regionale in favore del terzo mandato presidenziale sembra identificare i desperados della politica campana e non solo. In primis Valeria Ciarambino che, offesa sovente dal presidente con l’epiteto “chiattona”, e anche per la messa in piazza dei suoi lauti guadagni derivanti dalla consiliatura in Regione (“13mila euro netti al mese”) a fronte delle critiche ai vitalizi parlamentari, perduto il proprio protettore politico, tale Gigggino Di Maio, dopo il clamoroso flop del partito creato, lasciato il Movimento 5Stelle, non sapendo a quale santo votarsi per le prossime elezioni regionali, ha dato il suo suffragio a favore di un nuovo mandato per De Luca forse per proporgli la propria candidatura. Vengono poi i consiglieri del Pd che, incerti sul destino dell’organizzazione del partito della regione, hanno votato per De Luca, anche per dare un segno ai commissari nazionali della loro presenza. E infatti il capogruppo del Pd in Regione, Mario Casillo, a nome degli altri piddini, tranne Bruna Fiola che si è astenuta, si è affrettato a spiegare, evidentemente per non inimicarsi Elly Schlein, che il voto espresso è stato “un voto tecnico e chiarisce quello che è stato già sancito e potrebbe essere anche un di più rispetto alla norma attuale” chiedendo “al presidente e alla maggioranza… un percorso politico per la decisione del prossimo candidato alla presidenza” con un occhiolino verso De Luca, ovvero nella “consapevolezza che sarà un percorso lungo ma anche con l’orgoglio di chi rivendica un lavoro fatto in quest’aula dal 2015”. A questi, che nella scorsa tornata si erano candidati in sostegno dell’ex sindaco di Salerno, bisogna aggiungere i desperados del PSI, del partito di Mastella, di Italia Viva, tutte formazioni morenti, oltre ai consiglieri eletti nelle liste civiche organizzate dallo stesso De Luca che hanno quindi legato il proprio destino politico a quello del presidente uscente. Non è il caso di sollevare qui questioni giuridiche, dal momento lo hanno fatto illustri giuristi e, nel campo della cronaca, alcuni avventurosi pubblicisti. Solo per comprendere il conflitto giuridico, può dirsi che, dalla parte delle ragioni di De Luca, vi sarebbe il principio costituzionale del diritto dei cittadini elettori a scegliere i propri rappresentanti, dalla parte di chi contesta la legge approvata dalla Regione Campania vi è un altro sacrosanto principio costituzionale che non consente di far prevalere in campo legislativo l’ente regionale rispetto al governo centrale, sì che in un conflitto prevalga il governo. Un ulteriore motivo per cui non vale impelagarsi in ragionamenti sul diritto è nel fatto che, se nel campo del diritto amministrativo (gli oppositori, come Caldoro, notoriamente impacciato, minacciano il ricorso al Tar) le leggi sono come un vecchio elastico, suscettibile di vari stiracchiamenti, in quello del diritto costituzionale la questione è di fatto complicata e, oltretutto, legata a fattori politici. La questione pertanto, più che giuridica è politica, e riguarda un cacicco che ritiene di poter fare della propria regione, attraverso la sua armata Brancaleone, che però non fa ridere, uno stato di sua proprietà oltre il diritto dei cittadini il cui voto viene acquisito con l’offerta di fritture da parte di opachi fritturisti. Ma un cacicco è solo un cacicco e bene ha fatto Elly Schlein a dare una risposta politica: il Pd è contrario al terzo mandato e De Luca non sarà il candidato del partito! Si attende la risposta della destra che tra le melliflue prese di posizione di Caldoro e le ambigue dichiarazioni del ministro Lollobrigida, persino propenso ad un quarto mandato per Zaia (e per De Luca quindi) appare poco chiara. Gli assalti ai due mandati di sindaci e presidenti in questi anni sono stati numerosi, con proposte di legge (della Lega) avverse contenenti liberatorie per tre o più mandati. Il governo però ben potrebbe approvare una leggina stralcio a proposito del terzo mandato per i vertici monocratici, impedendolo in maniera decisa, tanto più nell’intenzione di inaugurare un presidenzialismo centrale che non potrebbe non vedere la carica presidenziale durare solo due mandati. Se questo provvedimento non fosse preso in considerazione e approvato significherebbe che proprio la destra, la quale si dichiara rigorosa, vuole mantenere il paese, anche per istituti importanti, in una liquida volubilità in cui vince chi ha potere. Su una cosa De Luca ha ragione: la Campania è una regione di “dementi” per i quali è necessario riaprire i manicomi. De Luca si è riferito ai rilievi dei giornali sulla esibizione di un corno apotropaico (cosa che dimostra che egli stesso non è convinto della propria posizione) ma i dementi devono essere veramente molti tra noi dal momento solo a persone folli può farsi credere che l’asino vola, che la sanità in Campania funziona, che le tasse regionali e locali sono basse, che non si inviano rifiuti tossici in Tunisia e che in generale lo smaltimento rifiuti è ottimale e così via. Far credere quindi che l’opera sin qui svolta da De Luca, la sua potestas non è per propri interessi politici ma per l’interesse generale cui si sarebbe dedicato con abnegazione tale da far divenire necessaria una continuità, magari sino alla propria morte. Una opinione accettata, non a caso, da un altro gruppo di desperados, quelli legati all’inutile due per cento del partito di Renzi, il quale, lo si ricorderà, tentò di riformare la Carta, mediante Referendum, non avendo ottenuto i voti necessari in Parlamento, con la previsione di un ampio premio di maggioranza al partito primo eletto nella coalizione vincente (il suo Pd) tale da assicurarne il dominio a vita. A questi personaggi non vale spiegare cosa sia il diritto, l’osservanza della legge e la democrazia ed è pertanto necessario che De Luca venga via dal suo bastione di comando, sì da poter poi spulciare sull’uso che ha fatto del denaro pubblico, a dire di Giorgia Meloni rivolto a finanziare le sagre del caciocavallo, e comunque inteso come proprio, secondo quanto mostrano le inchieste della Corte dei Conti.