Il Primo Maggio nel Salernitano - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Il Primo Maggio nel Salernitano

Il Primo Maggio nel Salernitano

 

Presentato nella sede della CGIL il secondo volume di documenti di Giuseppe Amarante, riguardante la Festa del lavoro, pubblicati dalla casa Editrice Gaia

Di OLGA CHIEFFI

 “…..Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro  o pugnando si morrà.” Così recita il ritornello dell’Inno dei lavoratori scritto da Filippo Turati nel 1886, capo del riformismo socialista su musica di Zenone Mattei, che è tante volte evocato nelle pagine del secondo volume di scritti, testimonianze, documenti di Giuseppe Amarante, dedicate a “Il primo maggio nel salernitano 1944-1970”, che la sua compagna di vita Maria Teresa Volpe ha dato alle stampe per le Edizioni Gaia. Un libro che è stato presentato ieri sera nella sede della CGIL di Salerno, dal Segretario regionale Franco Tavella e dalla Segretaria provinciale Maria Di Serio, in un salone gremito, purtroppo con pochi giovani, in cui si è acceso subito il ricordo, il dibattito. “E’ un percorso in crescendo – ha affermato Franco Tavella – che parte dal secondo Dopoguerra, con la ripresa della Festa, passando per le piccole grandi conquiste dei lavoratori, che di anno in anno fanno sentire sempre più la propria voce,   dal suo inserimento tra le ricorrenze festive riconosciute dallo Stato con il decreto legge del 22 aprile 1946 sino al concepimento dello Statuto dei Lavoratori del 1970”. Maria Di Serio ha continuato sottolineando come la lettura dei documenti, dei manifesti di questo trentennio possano offrire spunti per la situazione attuale ad esempio, nell’invito al I maggio del 1955 in cui “I lavoratori italiani rinnovano il patto solenne che li unisce ai loro fratelli di tutto il mondo al di sopra di ogni barriera di nazionalità o di razza, nella comune volontà di pace e di progresso sociale”, o del 1965 ove si accende la riflessione sul sistema pensionistico. Tavella ha ricordato poi, lo strano primo maggio del 1946 a Pagani, ove con la banda in testa si formò il corteo sindacale, mentre dall’altra parte veniva contro uno religioso diretto al palazzo arcivescovile di Nocera per esprimere il dissenso per un ingiusto provvedimento adottato contro il Rettore della chiesa della Madonna delle Galline. Cortei uniti per varie cause con banda che suonava l’Inno dei Lavoratori, Madonna delle Galline in testa e, passando per Nocera un’altra aggiunta di fedeli con San Prisco, una allegra e decisa fiumana umana in cui la causa sindacale si accoppia al sacro delle maggiolate e ai devoti del Sire d’amore e ai fioretti Mariani. Così, la tradizione antica, contadina e pagana si intreccia con quella cristiana e laica, in cui si innestano le istanze libertarie e di emancipazione sociale e politica. Poi, le testimonianze, dal firmatario dell’ introduzione Giuseppe Colasante, Pioniere a soli sei anni comiziante in piazza Portanova tra il mare di bandiere rosse, poi “discolo” stalinista sviaggiato in quel di Napoli, forse per non aver accettato una delle famose “veline” inviate dalla direzione centrale, all’Avvocato Roberto Mignone che legge i documenti di Giuseppe Amarante come un pezzo di storia della città di Salerno, al di là di ogni senso e schieramento politico, e ancora Alfonso Conte che vede la nascita dell’Amarante scrittore dopo la crisi della sinistra della fine degli anni’70, come risposta all’ “isolamento” da parte dal partito.  E l’ intenso intervento dello storico Giuseppe Cacciatore che ha schizzato l’Amarante seguace dei maestri Togliatti e Di Vittorio, suo l’invito a rimettere al centro della politica di sinistra il lavoro e la libertà umana,  il suo operato quale appello alla giustizia, ma anche e, forse, soprattutto come un appello alla ragione e al buon senso, al contatto con il territorio, con l’uomo, con la dura realtà. Conclusioni a Franco Tavella che ha fatto autocritica prendendo di petto quel fantasma del 1980 che continua ad aggirarsi per il sindacato italiano e la nostra sinistra. Non sarà semplice aiutarlo a trovar pace. Sarà come riaprire una ferita, dunque doloroso ma inevitabile per avere la meglio sull’infezione. Forse una sconfitta per insufficienza di progetto, per mancanza di uomini preparati che siano in grado di offrire una risposta al caos, ai demoni del potere, all’impotenza e al dramma della politica. La risposta è nella storia passata. Di qui l’invito ai giovani da parte di Maria Teresa Volpe ad impadronirsene, per conoscere le proprie radici e poter con maggiore sicurezza plasmare il proprio futuro, lanciandosi a caccia della vita.