Trionfo dell’ opera pucciniana scelta per inaugurare la stagione lirica del San Carlo di Napoli, per la intensa regia di Hugo De Ana
Di ROSANNA DI GIUSEPPE
Una grande occasione poter assistere al Teatro San Carlo alla rappresentazione della Fanciulla del West dopo un’assenza di quarantadue anni, nella replica del 15 dicembre scorso. L’occasione è di potersi trovare di fronte a quel Puccini che intraprende una strada nuova rispetto alla sua fortunata produzione culminata in Bohème, Tosca e Madama Butterfly e che lo avrebbe condotto ad un confronto con la più aggiornata drammaturgia europea per allargare i suoi orizzonti sia dal punto di vista drammatico che del linguaggio musicale. Opera a pieno titolo novecentesca, La fanciulla del West tratta dal dramma di Belasco nel libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, andata in scena la prima volta il 10 dicembre 1910 sotto la direzione di Arturo Toscanini, reca l’impronta di Strauss, Schoenberg, Debussy, in un amalgama personale e complesso posto in risalto dalla eccellente orchestra sancarliana capace sotto la meticolosa guida di Juraj Valčuha di estrinsecare oltre alla potenza e alla smagliante forza del suo notevole organico sulla scia del “grande sinfonismo europeo”, anche i singoli timbri, la limpidezza dei suoni (persino quello dell’eliofono a imitare il “sibilo” della bufera del secondo atto) e i dettagli di una partitura studiatissima e pensata per un teatro ampio come il Metropolitan per cui si rendeva necessario aumentare il volume sonoro di voci e orchestra. Lo straordinario è che i per i personaggi umili della vicenda si mettesse in campo un tale sfarzo sonoro evidentemente adeguato piuttosto alla forza delle passioni. Di grande fascino sono risultati il melodizzare frammentato dell’orchestra, le citazioni del folclore americano, il lirismo (suggestivo il momento d’amore nella capanna di Minnie mentre fuori imperversa la bufera di neve), i tanti tratti di inquietudine e sospensione che contribuiscono alla narrazione sonora del dramma reso tuttavia nella sua unitarietà. D’altra parte l’espressione intima dei personaggi è raccolta da Hugo De Ana e tradotta in una regia elegante dai colori caldi e dimessi, dentro spazi ritagliati quasi come in miniature ricche di particolari che dicono di un mondo povero dove ciascun minimo elemento ha un suo peso e una sua importanza. In quest’ ambiente ancora più incandescenti risultano i momenti di maggiore tensione del dramma, quali la partita a poker o la caccia al bandito Ramerrez, che Minnie ha cominciato ad amare nei panni dello straniero Dick Johnson, così presentatosi nel locale della “Polka” frequentato dai minatori, il caratteristico saloon ai piedi della Sierra californiana in cui ha inizio la vicenda. Una donna nuova per vari aspetti, rispetto alle eroine pucciniane del passato, Minnie, domina quest’ambiente, capace di imporsi e di vincere con le sue virtù, in un mondo di soli uomini. Per lei una parte vocale ardua che compete in molti punti dell’opera con la forte sonorità orchestrale, nel secondo cast affidata alla brava Rebeka Lokar che ha gradatamente potenziato il suo volume sonoro per svettare su quello orchestrale. Bel timbro, ricco di armonici e pronuncia netta del canto hanno contraddistinto la sua intensa vocalità. Ad affiancarla nel secondo cast Marco Berti preciso anche se non sempre di uguale potenza sonora. Della regia di De Ana ha colpito inoltre la predilezione per una “inquadratura a stacco” di stampo cinematografico iscritta nella partitura pucciniana, come dichiarato dallo stesso regista, nel programma di sala, con cui isola dal resto della scena un primo piano, per esempio, tra gli altri, quello di Minnie e lo sceriffo nel primo atto, mentre gli altri personaggi rimangono a rappresentare sullo sfondo un immobile tablau vivent, così traducendo la modernità e la recettività di Puccini nei confronti della recente affermazione dell’arte del cinematografo. Asciutto e preciso lo sceriffo Rance di Claudio Sgura nell’esprimere la pochezza e avidità del personaggio con vocalità allo stesso tempo tagliente e profonda. Corale e armonioso l’apporto degli altri personaggi tutti anche individualmente significativi nel rendere il contesto e l’atmosfera: Bruno Lazzaretti (Nick), John Paul Huckle (Ashby), Gianfranco Montresor (Sonora), Paolo Orecchia (Sid), Antonello Ceron (Trin), Tommaso Barea (Bello), Orlando Polidoro (Harry), Enrico Cossutta (Joe), Ivan Marino (Happy),Donato Di Gioia (Larkens), Enrico Marchesini (Billy Jackrabbit), Alessandra Visentin (Wowkle), Carlo Checchi (Jake Wallace), Francesco Musinu (José Castro), Armando Valentino (Un postiglione). Segnaliamo tra questi almeno il commovente Sonora e Jake Wallace con la sua malinconica canzone del primo atto accompagnata da due arpe, di cui una contrafatta per assomogliare al banjo. Ancora una nota di merito al coro diretto da Marco Faelli e al Light designer Vinicio Cheli il cui apporto è fondamentale nel creare la magia della scena. Calorosa l’accoglienza di un pubblico interessato