Dalla pinsa romana all’alta pasticceria, per ricominciare dopo la pandemia. Il patron afferma: “Dal pugilato, ho appreso il concetto e la motivazione di non mollare di mai, di resistere e combattere con tutte le forze che abbiamo, contro tutto e tutti”.
Di Giulia Iannone
Il titolare Massimiliano Torrice ci racconta le fasi salienti della riapertura del bar “Cafè c’est Chic” sito in Roma in Via Francesco D’Ovidio.
Come hai vissuto l’emergenza del coronavirus?
“E’ stata una situazione veramente dura. Ma, a parte l’aspetto economico, che è ben noto a tutti, la sofferenza è stata morale, per la costrizione di non poter lavorare. Noi siamo fatti di energia ed il lavoro fa parte della natura umana. Mi fa sentire vivo tenermi sempre attivo e riversare la mia energia nel mio lavoro. Inoltre, non sono riuscito a pieno a comprendere questa costrizione, perché ho trovato un lato incoerente delle misure. Si è parlato di poter garantire i beni di prima necessità, ma non tornavano i conti quando tra questi figuravano i tabaccai e le edicole”.
Voi avevate programmato l’inaugurazione della vostra nuova sede il 15 marzo, invece cosa è successo?
“ Avevo spostato l’inaugurazione in coincidenza con le idi di marzo, ossia il 21 marzo . Ci tengo alle date, soprattutto se simboliche. C’è stato un blocco sia dei lavoro che di questa programmazione, abbiamo proseguito nonostante il blocco totale, autorizzati dalla Polizia amministrativa, perché dovevo liberare il precedente locale che era in affitto. Il proprietario voleva tornarne in possesso, il prima possibile. Ho avuto la possibilità di effettuare il trasloco, logicamente sempre osservando le misure sanitarie del caso, fino a che, il 24 marzo, la ditta non ha potuto più lavorare per una ulteriore stretta delle misure poiché in piena pandemia, e così ci siamo trovati da soli fino al 4 maggio, data nella quale abbiamo riaperto. Verso metà aprile ci hanno autorizzato alle consegne a domicilio, non all’asporto, e ci siamo difesi con un cartello improvvisato, che in realtà era il cartone con il quale erano incartate le porte, cartone e vernice d’avanzo e ci siamo rimessi in gioco con qualche consegna a domicilio. “
Come vi siete riorganizzati in vista della riapertura?
“ All’inizio andavamo in consegna per le case, muniti di guanti mascherine ed igienizzanti ed abbiamo osservato ogni misura prevista a livello di legge. Quando andavamo in consegna, tanta gente ci faceva trovare la sedia fuori la porta per appoggiare la merce ed effettuare lo scambio dei soldi, questo prevedeva l’ordinanza, qualcuno era meno rigido, ma la situazione a Roma era già più chiara perché i contagi erano già bassi verso metà aprile. C’era più tranquillità, specialmente in questo quartiere.”
Asporto e take away: avete lanciato in questa occasione la pinsa romana che sta riscuotendo molto successo. Di cosa si tratta?
“ Avevo in cantiere, in occasione della nuova apertura, tre novità per i clienti. Venivo da una realtà consolidata, un buon pacchetto clienti, però sapevo che stavo per spostarmi in un punto nuovo, un po’ più grande e volevo offrire qualcosa in più. Oltre a questo bar, in cui sono unico proprietario, ho in società, con due altre persone, un laboratorio di pasticceria, uno di gelateria, un laboratorio dei cornetti dove noi prepariamo i lieviti, ed abbiamo aperto un laboratorio dove facciamo solo la pinsa romana. Volevo introdurre questo prodotto solo durante le partite del campionato europeo di calcio, per farla conoscere, invece, l’ho usata nella fase della consegna a domicilio. La pinsa è una focaccia salata di origine laziale. Era già nota in epoca romana, se ne parla anche nel VII libro dell’Eneide, perché Enea insieme al figlio ed ai suoi comandanti, mangiò questo tipo di alimento appena arrivato nelle zone rurali delle campagne laziali. Il nome pinsa deriva dal latino pinsare, “allungare” e spiega la forma di questo prodotto romano che è ovale con spessore di circa due centimetri. L’impasto è particolare, fatto con mix di farine, tra esse anche quella di soia e riso, ed aggiunta di sale ed acqua ed erbe aromatiche ed è molto digeribile, ha una lievitazione molta lunga, in questo caso di 72 ore. La gente l’ha apprezzata moltissimo, e diciamo che è diventata la pinsa della pandemia. La vita spesso mette in difficoltà, e bisogna reagire colpo su colpo, sono abituato, anche perché sono uno sportivo e pratico pugilato. Sono solito affrontare i problemi e non scappare”.
Puoi elencare i piatti ed i prodotti che proponete al cliente?
“ Proponiamo, a parte la pinsa, come abbiamo detto, i supplì fatti da me, il tipo classico, oppure creativi con funghi porcini, asparagi e salsiccia, zucca gorgonzola; poi dei primi piatti di pasta fresca pomodoro datterino fresco e basilico non commerciale, la carbonara, per la quale usiamo uova biologiche certificate e deposte al mattino, e non usiamo latte o panna per dare la cremosità, l’uovo affidabile mi serviva per impiegarlo anche nel nostro tiramisù artigianale ed espresso, poi la amatriciana con guanciale IGP vero, e la Gricia. In ultimo il cacio e pepe, che è un piatto molto difficile ma a noi viene bene, col vero pecorino rimano DOP ed il pepe macinato fresco, e facciamo un aglio ed olio di alto livello. Proponiamo insalatone, filetto di baccalà in pastella con farina di riso, quindi sembra una tempura croccante e leggera. Come dolci anche la panna cotta”
Cafè cest chic: da quanto tempo nasce, cosa esprime e cosa rappresenta in questo quartiere?
“Nasce nel 2012. il nome è tratto da una canzone di Jovanotti, La Bella Vita, che nel ritornello dice “l’Afrique c’est chic”, è un inno alla voglia di stare insieme ed essere amici. Così ho pensato di creare un bar semplice, stile cameretta in cui invitare gli amici, parlare, condividere problemi, gioie, momenti quotidiani. Un ambiente piccolo, su misura, si governava bene in due persone, una stanzetta con gli specchi. La gente lo ha apprezzato e ci ha permesso di essere molto attenti al cliente, anche perché noi siamo sempre aperti, infatti il nostro motto è “conta su di noi”. Noi ci siamo sempre per gli amici, e siamo diventati nel quartiere un punto di riferimento. Questo ci ha premiato, ed ora la cameretta è diventata un salone doppio col giardino! Abbiamo pensato a loro, alla loro comodità e relax”
Come è l’umore della squadra: vogliamo rapidamente presentarla?
“Nello staff ci sentiamo tutti in famiglia, e non intendo parlare semplicemente di legami di sangue ( perché in questo bar, Massimo Torrice lavora con la moglie Annalisa e la figlia , ma cerca di non far emergere questo status di famiglia per offrire massima serietà e professionalità, ndr). L’attrice principale è Alessandra, assieme a lei, 6 anni fa abbiamo risollevato le sorti del bar in un momento un po’ delicato dell’attività. Con noi c’era anche Bachi, un ragazzo che poi ha trovato un lavoro importante a Londra, e ci ha salutato. Al tempo eravamo in tre, per cui Alessandra è una colonna portante di questa società, di questo bar e lavoro. Grazie anche a lei noi oggi siamo qui. In ordine di gerarchia c’è Annalisa, Alessia, ( Alessia è mia figlia, ma noi non ci consideriamo rispetto ai gradi di parentela). Alessia si occupa del banco e della cassa. Io ed Alessandra adesso ci siamo spostati nel cuore dell’attività, ossia in cucina, per preparare tutto. Nella parte esterna abbiamo due persone fisse, Susanna al mattino e Gianluca il pomeriggio. Dietro al banco assieme ad Alessia ed Annalisa ci sono due ragazzi, Alessandro, che già lavorava qui un paio di anni fa e Carlo, che invece è un neofita in formazione, lui lavorava in un albergo, che ha chiuso come portiere. Anche Alessandro è stato travolto da questa vicenda, ma nutre l’idea di andare a lavorare in Spagna. Lo teniamo con noi, sperando che blocchino l’uscita per un altro po’”.
Vogliamo lanciare un messaggio per il dopo “andrà tutto bene”?
“Dal pugilato, ho appreso il concetto e la motivazione di non mollare di mai, di resistere e combattere con tutte le forze che abbiamo, contro tutto e tutti. Quando c’è un obiettivo più alto ed eticamente valido, le forze e le soluzioni si trovano”.