A sessant’anni dalla morte, la storia di Wilhelm Furtwangler continua a generare falsi miti e risposte indefinite, nonostante decine di studi abbiano provato a far luce sul nucleo centrale della vicenda: il celebre direttore d’orchestra era un nazista, convinto antisemita, o piuttosto un accanito oppositore interno del Reich, che aveva preferito rimanere in Germania per difenderne l’integrità culturale e musicale? Bisogna dar credito ai tanti musicisti ebrei che, dopo la guerra, testimoniarono di dovere la propria vita al provvidenziale interessamento del potente musicista, che aveva un forte ascendente su Goering? Furtwangler era idolatrato dai gerarchi nazisti, che vedevano in lui il mezzo per affermare il Reich millenario davanti al mondo, era il direttore più famoso e questo spiegherebbe il perchè nel dopoguerra, nonostante gli inviti dall’orchestra di Chicago, i suoi detrattori (primi fra tutti Toscanini e Bruno Walter, con Horowitz e Rubinstein) si siano sempre opposti al suo viaggio negli Stati Uniti. Il direttore italiano era combattuto tra l’ammirazione e il timore di perdere opportunità di lavoro, ma era stato anche un antifascista convinto. Walter, ebreo, era stato costretto all’esilio forzato dalle leggi antisemite hitleriane, e come lui Jascha Haifetz; e certo non vedevano di buon occhio chi era rimasto Germania e aveva assunto incarichi importanti nelle orchestre tedesche fino al ’45. Furtwangler, però, aveva evitato accuratamente, giocando a volte su falsi certificati medici, di suonare ai compleanni del Fuhrer o di eseguire l’Horst Vessel Lied, l’inno del partito, ma anche, semplicemente, di fare il saluto nazista. Quel che però infastidiva di più Hitler e i gerarchi era che non aveva mai smesso di eseguire la cosiddetta Entartete Musik (la “musica degenerata”), come quella dell’ebreo Paul Hindemith, suo amico personale (ma proibiti erano anche Ravel e Mendelssohn). Questo, comunque, non evitò a Furtwangler un doloroso processo di denazificazione, le cui conseguenze lo portarono probabilmente ad una morte prematura nel 1954. Altro confronto oltre che con Toscanini, quello con Karajan: Furtwangler mai iscritto al partito nazista, ma oggetto di due umilianti processi, il secondo due volte membro ma passato indenne da ogni inchiesta. Ciò che va sottolineato, è che l’Italia fu la prima nazione ad accogliere un Furtwangler appena scagionato dal tribunale berlinese, mentre altri paesi, specialmente gli Stati Uniti, hanno continuato ad esprimere su di lui forti riserve morali; un fatto che va legato al nome stesso di Hitler, un nome iconico, che crea orrore e fascino, che blocca e suscita reazioni forti. Ancora oggi, quindi l’affaire Furtwangler non è risolto. Furtwangler: musicista del diavolo o un utopista? Certamente non fu un uomo ingenuo, la sua missione, continuando a dirigere nella Germania nazista, fu quella di mantenere l’alto livello, la statura della musica tedesca, una tradizione che durante la guerra rischiava di venire persa. Da fuori, possiamo vederlo come un tentativo quasi naif, ma da musicista, ascoltando una qualsiasi interpretazione di Furtwangler, ci si trova davanti ad un uomo di una profondità inaudita, con una fantasia inesauribile, propria di una persona evoluta sia nel pensiero che nell’emozione, un’intelligenza emozionale. Ma musicalmente, da cosa nasce il “mito Furtwangler” il cui gesto direttoriale viene spesso definito come non elegante, persino poco chiaro? Vie è tutta una serie di fattori, che partono dalla presenza stessa di quell’uomo, si racconta un aneddoto secondo cui egli entrò in sala durante la prova di un altro direttore e il mero fatto che lui fosse presente fece cambiare radicalmente il suono dell’orchestra! Il gesto è certamente uno di questi fattori: uno solo, poiché la direzione è la conseguenza di molti altri elementi, come gli occhi, il ritmo interno della persona e, anzi, le braccia sono la parte meno interessante. Si parla quasi di una connessione telepatica fra Furtwangler e i suoi musicisti, volta alla creazione di un legato perfetto, inattaccabile: se avesse scandito la battuta in maniera troppo precisa o regolare, non avrebbe potuto ottenere quel risultato. La parola chiave, ci proviene dal jazz ed è il timing, ovvero quel dosare l’intensità per potere raccontare una storia e creare delle aspettative. All’ascolto, ad esempio, della Seconda Sinfonia di Brahms, si intuisce che quanto il maestro inseguisse nelle cavate che del legato producono una dinamica esemplare, era proprio questa necessità di coscienza destata al richiamo dello spirito, a quel qualcosa che la vita incessantemente chiede a se stessa per sfuggire allo sguardo meduseo della distruzione. E tutt’oggi lo chiede. Quello stile, in partibus infidelium, rappresentò la forza di un argine morale: e la sua patria non fu il Terzo Reich del nazismo quanto un universo opposto, per il quale quell’organizzazione politica non era che un momento nella lunga e nera vicenda dove l’Occidente è coinvolto e la cui conclusione forse ancora non si vede. Soccorrono le parole di Husserl: “Combattiamo contro questo pericolo estremo in quanto “buoni europei”, in quella vigorosa disposizione d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in eterno; allora dall’incendio distruttore dell’incredulità, dal fuoco soffocato della disperazione per la missione dell’Occidente, dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità: perché lo spirito è immortale”. Furtwangler visse per questo e da “buon europeo” credette in tutto ciò.
Olga Chieffi