di Nicola Russomando
L’intervento del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, al Giffoni Experience ha dato prova di quel sottile equilibrismo dialettico, che è pure lo specchio più generale della chiesa di papa Francesco. Un linguaggio modulato sul politicamente corretto, che Blaise Pascal non avrebbe esitato a definire “gesuitico”. Di fronte ad un uditorio così particolare, come quello dei “Giffoners”, il cardinale, esponente di punta della Comunità di S. Egidio, soggetto politico-religioso molto accreditato in Vaticano e negli ambienti tout-court politici, si è dovuto confrontare con argomenti non usuali per quel tipo di pubblico, rasentando il campo della morale cattolica. Perché i temi affrontati nell’intervento condizionato dalle domande formulate dai ragazzi, anche se ricadono nel più ampio dibattito pubblico, hanno inevitabili ricadute morali. E se Zuppi ha sdoganato positivamente l’idea di una famiglia queer sul modello di Michela Murgia, sul presupposto che è l’amore la cifra di ogni legittimazione al di là di ogni vincolo giuridico, ha poi dovuto ammettere che non ogni idea di amore è di per se stessa compiuta, se non quella che coniuga l’amore di se stessi, del prossimo e di Dio. Il primo e più grande dei comandamenti è stato così proposto in un contesto che, indistintamente, fa dell’amore, cioè del “volersi bene”, la chiave universale della qualificazione dei rapporti personali. Allo stesso modo, di fronte alle inevitabili domande scaturite dalla visione de “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, circa i temi del bullismo e dell’inclusività, naturale è stata la risposta del cardinale per il quale “nella chiesa ci devono stare tutti, a prescindere da qualsiasi consonante o vocale e questo è importantissimo”. Chiara allusione anche a questioni linguistiche che vedono implicati asterischi e schwa nella più generale fluidità dell’identità di genere, che è stato argomento tematico ricorrente di passate edizioni di Giffoni Experience. E se l’inclusività nella chiesa è di fatto predicata ai quattro venti, fatta eccezione per qualche incidente in cui è incorso papa Francesco proprio in assemblea CEI, anche la questione dell’ipocrisia clericale ha trovato spazio nella discussione. Zuppi ha riconosciuto lo iato spesso esistente tra ciò che si è e ciò che si pretende di essere, riportandolo però ad una più generale tendenza dell’attuale società a privilegiare la prestazione e l’apparenza nel disprezzo delle fragilità. Altra cosa però è il criterio di reclutamento del clero, su cui l’intervistato sembra aver glissato, che ancora si fonda sull’acquiescenza formale ad un modello univoco che tende ad elidere ogni differenza di personalità. Ma è sul tema del peccato che si sono misurate le distanze maggiori tra uditorio e intervistato nella difficile conciliabilità dei linguaggi. Se per il giovane pubblico la chiesa è all’origine dei sensi di colpa, per il cardinale “il senso di colpa non è in assoluto sbagliato, ma va affrontato”, toccando temi quali la coscienza e il peccato, questioni capitali della morale, non solo cattolica. L’affermazione di Zuppi per cui “il peccato non è moralista”, avrebbe meritato una più approfondita spiegazione rispetto alla sua riduzione a semplice elemento di miglioramento individuale. Sembra di capire che per il cardinale senso di colpa e cognizione del peccato siano equivalenti, prodotti dal fulcro dell’identità più profonda della persona che è la coscienza. “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”, recita il Catechismo della Chiesa cattolica, ovvero la sede in cui affiorano i sensi di colpa o, se si vuole, la percezione del peccato. In questa luce forse si spiega la sibillina definizione di Zuppi circa “il peccato non moralista”, se per moralismo s’intende l’attitudine generalizzata alla condanna sul presupposto di una propria superiorità. Il retto giudizio sui propri atti, elaborato dalla coscienza, è invece il risultato di quella libertà che Zuppi attribuisce al cristiano nella forma di “libertà di volere bene”. Tuttavia, al di là della genericità di una formula omnicomprensiva, la libertà del cristiano si realizza proprio nella scelta tra bene e male nel confronto con Dio, con i sensi di colpa come spia di una scelta operata sotto il vaglio della coscienza. Il “diplomatico” Zuppi, senza tacere del tutto verità scomode, ha dato però una chiara dimostrazione di equilibrismo dialettico, assecondando la giovane platea sul terreno a lei più congeniale, adombrando al tempo stesso contenuti di morale cattolica in quel dialogo che si rivela spesso inconciliabile con lo spirito del mondo.